Per la prima volta nella storia, ai Giochi Olimpici di Parigi 2024 il numero delle atlete donna è esattamente lo stesso di quello degli uomini: sono 5.250 su 10.500 partecipanti.
Per capire l’importanza di questo traguardo, facciamo un passo indietro. Le donne furono bandite dagli stadi nell’antica Grecia e non presero nemmeno parte alla prima Olimpiade moderna, quella del 1896. Iniziarono a partecipare solo nel 1900, ma la loro presenza era davvero esigua. Pensate che le atlete donna furono allora solo 22 su 997 atleti totali, un misero 2%.
Nel corso degli anni, la loro presenza è aumentata, ma a ritmi molto lenti. Cento anni fa, ai Giochi di Parigi 1924, le donne parteciparono agli sport più comuni, come l’atletica, ma la loro percentuale era del 4,4%. Non superò il 10% fino ai Giochi di Helsinki del 1952. Raggiunse il 25% alle Olimpiadi di Seul nel 1988 e toccò il 40% a quelle di Atene nel 2004.
Alle ultime Olimpiadi di Tokyo del 2020, il divario si è sensibilmente assottigliato, con 5.704 atleti uomini e 5.386 donne in competizione, raggiungendo quindi quasi la parità. I Giochi Olimpici di quest’anno rappresentano una svolta storica nell’ambito dell’uguaglianza di genere, segnando la prima edizione in cui il numero di atlete e atleti è perfettamente bilanciato.
Ma la domanda che ci poniamo adesso è: questa parità è stata davvero raggiunta? Esploreremo insieme le storie dietro i numeri e le sfide che alcune atlete stanno affrontando, per capire se l’equità di genere è una realtà.
Il caso Ballard: commenti sessisti alle donne
Partiamo da uno dei casi più noti di queste Olimpiadi, ovvero il caso Ballard. Durante la cerimonia di premiazione della staffetta stile libero australiana, il commentatore sportivo inglese Ballard si è lasciato andare a un commento in diretta TV. Ha detto, rivolto alle atlete: «Beh, sapete come sono le donne… che se ne vanno sempre in giro a truccarsi».
Immediata la replica di Lizzie Simmonds, sua co-commentatrice, che ha definito «oltraggiosa» l’esternazione del collega, mentre i social – su cui è immediatamente diventata virale – l’hanno bollata come “sessista”. Il giornalista è stato licenziato in tronco.
Si è trattato di un caso isolato, sebbene infelice? Beh, purtroppo no.
Durante la presentazione del doppio del tennis femminile italiano Sara Errani – Jasmine Paolini, i radiocronisti francesi della TMC hanno presentato le atlete azzurre in questo modo: «A sinistra c’è Sara Errani che è il capo, fa tutto lei: lava i piatti, cucina, pulisce», accompagnando poi queste parole con delle risate.
La frase ha suscitato un’ondata di indignazione ed è stata denunciata dall’Associazione francese delle giornaliste sportive. In una nota si legge: «I commenti sessisti e misogini non trovano spazio in una competizione internazionale».
Ora, questi episodi mettono in luce quanto sia difficile uscire dagli stereotipi di genere. Commenti come quelli di Ballard e dei radiocronisti francesi sono un chiaro esempio di come le figure femminili siano ancora spesso ridotte a ruoli e comportamenti convenzionali: la donna che si trucca e fa tardi, la donna che lava, stira e cucina, in pieno stile Cenerentola.
Questo tipo di narrazione è mortificante non solo per le donne, che vedono sminuiti i propri successi e competenze, ma anche per gli uomini, che perpetuano una visione riduttiva e antiquata delle donne. D’altra parte, la reazione immediata della co-commentatrice Lizzie Simmonds e il licenziamento di Ballard, così come la denuncia delle giornaliste sportive, dimostrano che esiste una crescente intolleranza verso tali atteggiamenti.
Angela Carini e Imane Khelif: quando lo sport finisce al tappeto
La vicenda della pugile azzurra Angela Carini che ha abbandonato il match dopo soli 46 secondi contro l’algerina Imane Khelif è di quelle che fanno storia. Proviamo a sbrogliare i nodi di questa intricata matassa per capire cosa questa vicenda ci insegna sull’inclusione, l’accettazione e l’equità.
Chi è Imane Khelif? E’ una giovane pugile algerina che, in realtà pare agli albori fosse una promessa del calcio. Ha iniziato poi a farsi notare nel campo del pugilato, piazzandosi 17ª ai Campionati del Mondo di Nuova Delhi nel 2018. Non penso ci siano dubbi in merito, ma lo preciso a scanso di equivoci: ha sempre gareggiato nella categoria femminile.
Le sue prime Olimpiadi sono state quelle di Tokyo 2020, dove è arrivata ai quarti di finale e poi è stata battuta. Viene sconfitta ancora una volta ai Mondiali del 2022. Diciamo che fino a quel momento nessuno si era mai particolarmente interessato della pugile algerina, nessuno si era mai posto domande sulla sua appartenenza di genere – dettaglio che a mio avviso è decisamente significativo.
E arriviamo così al fatidico 2023 – l’annus horribis di Imane Khelif, quello che segnerà la svolta e insinuerà tutti i dubbi che oggi hanno funestato questa Olimpiade di Parigi. In che modo?
Nel marzo del 2023, Imane è pronta a combattere nella finale del Campionato del Mondo femminile contro la cinese Yang Liu. Ma poche ore prima del match, arriva la notizia sconvolgente: Imane viene squalificata per aver fallito un test di idoneità di genere.
Ci sarebbe un test del DNA secondo cui Imane Khelif ha cromosomi XY – cioè maschili. Lo dichiara Umar Kremlev, il presidente dell’IBA (l’International Boxing Association), nonché caro amico di Putin, il quale accusa l’atleta algerina di aver ingannato tutti fingendosi donna. Poco dopo, arriva la rettifica del CIO (Comitato Olimpico): la squalifica è dovuta a elevati livelli di testosterone, una motivazione che però Imane Khelif respinge, sostenendo di essere vittima di una cospirazione.
Arriviamo finalmente alle Olimpiadi di Parigi 2024. A causa degli scandali pregressi, all’IBA è stato vietato di organizzare le competizioni di pugilato e il CIO ha assunto la responsabilità del torneo. Secondo le regole del CIO, Imane Khelif rispetta tutte le norme di idoneità e ammissione alla competizione, inclusi i limiti di testosterone. Ora, assunto che sull’atleta algerina sono circolate per giorni falsità e inesattezze, ciò su cui mi voglio soffermare adesso sono alcune considerazioni.
La gara tra Angela Carini e Imane Khelif: 46 secondi di pregiudizi
L’incontro tra Imane Khelif e la Carini. I 46 secondi più penosi di queste Olimpiadi. Non dubito che Angela Carini abbia dato tutto quello che poteva dare sul ring, ma c’è stato un momento che mi ha colpito profondamente.
Alla fine del match, dopo che l’azzurra ha deciso di abbandonare la competizione, Imane ha cercato di salutare la Carini un paio di volte, ma la Carini non ha mai ricambiato, nemmeno con uno sguardo. Era evidente che fosse stizzita e che avesse trovato ingiusto quel combattimento. Credo che l’atleta sia salita sul ring già condizionata dalle polemiche montate nei giorni e nelle ore precedenti l’incontro e che questo abbia influito non solo sulla prestazione, ma sul suo stato mentale e sulla sua capacità di concentrazione.
Non intendo fare psicologia spicciola, ma ci tengo a dire che molte atlete hanno combattuto contro Imane prima di lei e molte l’hanno anche sconfitta. Quella stizza, quel saluto non ricambiato, per me, sono stati un comportamento antisportivo. La Carini aveva tutto il diritto di abbandonare la competizione, se non si sentiva di portarla avanti.
Ma lo sport, più di ogni altra cosa, è rispetto: rispetto per la maglia che si indossa, per il Paese che si rappresenta, per l’avversario che si fronteggia e per i valori fondamentali che esso promuove.
Imane Khelif non è così invincibile come una certa retorica ha voluto farci credere. E soprattutto non era «un uomo che picchiava una donna». Era un’atleta che gareggiava contro un’altra atleta. Era una boxeur che combatteva contro un’altra boxeur. La boxe è uno sport duro e leale, dove si deve dimostrare il proprio valore sul ring.
Quello che molti hanno tentato di far passare è stata la narrazione di una “povera donzella indifesa” (la Carini) che stava per entrare nella “gabbia dei leoni” per farsi sbranare dal “lupo cattivo”. Davvero, un modo squallidissimo e orribile di semplificare e strumentalizzare una situazione complessa. Questo tipo di retorica non solo sminuisce l’abilità e il coraggio delle atlete, ma alimenta anche una propaganda politica dannosa che sfrutta le paure e i pregiudizi
La strumentalizzazione politica del caso Imane Khelif
La vicenda di Imane Khelif è stata ampiamente sfruttata dalla propaganda politica, in particolare dalla destra, che ne ha fatto un cavallo di battaglia per la propria agenda transfobica. Non solo: JK Rowling, di cui abbiamo già parlato qui, da sempre sotto i riflettori per le sue controverse posizioni sulla comunità transgender, non ha mancato di esternare il suo sdegno per il match.
Che Imane Khelif non sia una persona transgender poco importa. Di fatto le vicende che l’hanno vista protagonista sono state usate per alimentare paure e divisioni, trasformandola in un bersaglio per chi cerca di opporsi ai diritti delle persone transgender e intersex. Questo tipo di strumentalizzazione non solo distorce la realtà, ma perpetua una cultura di esclusione e discriminazione.
Ma i valori dello sport sono ben altri. Innanzi tutto abbiamo il dovere di essere fedeli ai fatti, e non di piegarli per portare avanti delle ideologie. L’inclusione e il rispetto non sono negoziabili.
La forza delle donne alle Olimpiadi di Parigi 2024
Ci sarebbero tantissime cose da dire sulle donne in queste Olimpiadi, sul modo in cui le donne trattano le donne. Lo splendido e liberatorio pianto della nuotatrice diciannovenne Benedetta Pilato, arrivata al quarto posto, ci racconta di una ragazza felice, che ha sfidato i propri limiti. Quel pianto è un’emozione pura, un segno di quanto significativi siano stati per lei gli sforzi e le sfide affrontate. Benedetta ci mostra che il vero successo è stupire se stessi.
Eppure c’è stato chi è riuscito a rovinarle quel momento, criticandola, sminuendola, ridicolizzandola. E anche se poi sono arrivate delle scuse – il fatto resta. Che una donna più grande, una ex-atleta si sia permessa di prendere in giro con ferocia la felicità di una giovanissima collega è un gesto che dice molto sulla mancanza di empatia e solidarietà in questi Giochi Olimpici.
Voglio però finire con una nota di speranza e di bellezza. La judoka bresciana Alice Bellandi, medaglia d’oro, ha attraversato un periodo tutt’altro che facile prima di conquistare quest’anno il gradino più alto del podio. Nell’ottobre 2020, Alice ha confessato di aver affrontato una battaglia contro bulimia e depressione, proprio mentre si preparava per i Giochi Olimpici di Tokyo.
Quest’anno l’abbiamo vista trionfare, ma non solo. Rimarrà negli annali il bacio che si è scambiata alla fine della gara con la sua fidanzata. Quel bacio, criticato da molti sui social e bollato come ‘esibizionista’, è in realtà un vero e proprio atto politico.
La forza queer dietro quel gesto è immensa: è un’affermazione dei diritti di tutti, che parla per chi quei diritti ancora non li ha, e incarna libertà, coraggio, sacrificio e amore. Quel bacio non è solo la celebrazione di una vittoria personale, ma diventa il simbolo dell’amore universale.
In fin dei conti, queste Olimpiadi non sono perfette, tutt’altro. Ma hanno l’indubbio pregio di aprire il dibattito pubblico su tematiche di rilevanza cruciale. Stiamo vedendo storie di inclusione, di lotta contro gli stereotipi, e di coraggio nel mostrare la propria identità. Storie che ci fanno arrabbiare, ci ispirano, ci fanno riflettere, ci portano a essere più aperti e più consapevoli.
Lo sport non è solo competizione, ma un potente veicolo di cambiamento sociale, e attraverso lo sport possiamo campire tanto della realtà in cui viviamo. Parigi quest’anno ha cercato di fare dei Giochi inclusivi ed equi… non so quanto ci stia effettivamente riuscendo, ma apprezzo il fatto che ci abbia provato più di chiunque altro, già a partire dalla Cerimonia di Apertura. Ne avevamo parlato qui, se siete interessati vi lascio l’articolo:
Continuiamo a sostenere gli atleti non solo per le loro performance, ma anche per le battaglie che combattono ogni giorno, dentro e fuori dal campo.
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