Stroncare un bestseller: Il Minimarket della signora Yeom

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Vi è mai successo di vedere un libro scalare le classifiche e chiedervi: Ma sarà davvero così bello? Ebbene, Il minimarket della signora Yeom di Kim Ho-yeon è arrivato in Italia con un successo straordinario alle spalle, e milioni di copie vendute in Corea. Ma la fama è davvero meritata?

La Corea del Sud ha da poco visto trionfare Han Kang, nominata Premio Nobel per la letteratura (ne avevamo parlato qui in termini entusiastici). Ma un altro autore coreano quest’anno ha attirato l’attenzione del pubblico italiano. Il suo romanzo, edito da Salani, ha conquistato i lettori. Oggi ci chiederemo se in questo caso la popolarità è sinonimo di qualità.

La signora Yeom, ex insegnante di storia in pensione, si accorge di aver perso la sua borsetta durante un breve viaggio in treno. Per fortuna, poco dopo, riceve una chiamata da un telefono pubblico. Dall’altra parte, sente una voce profonda, così roca da non sembrare quasi umana, come quella di «un orso appena uscito dal letargo». Le comunica di aver ritrovato le sue cose.
A parlare è Dokko, un senzatetto di mezza età che vive alla stazione di Seoul, e che – oltre ad avere un aspetto decisamente selvaggio – è affetto da una grave perdita di memoria dovuta all’abuso di alcol. Dokko non ricorda nulla del proprio passato.

Grata per il gesto e per aver riavuto la propria borsa, la signora Yeom decide di invitare Dokko al minimarket che gestisce per offrirgli qualcosa da mangiare, spronandolo a tornare ogni volta che avrà fame. Giorno dopo giorno, la signora si rende conto che al di là delle apparenze si nasconde una persona affidabile e piena di risorse. Gli propone così di lavorare nel negozio durante il turno di notte.

Questo segna l’inizio di un nuovo percorso non solo per Dokko, ma anche per la signora Yeom e per i clienti del minimarket che avranno occasione di incrociare il suo cammino. Dokko infatti diventa un supporto vitale per le persone che lo circondano. I suoi colleghi e i clienti, ciascuno alle prese con le proprie sfide personali, trovano conforto nella sua presenza.

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Tra i suoi colleghi c’è una giovane donna sui vent’anni che si sta preparando a sostenere l’esame per il servizio civile, e che, grazie all’incoraggiamento di Dokko, ottiene un lavoro promettente. Un’altra collega, una donna di mezza età, ha problemi a comunicare con suo figlio, un trentenne che si è licenziato e si è chiuso in casa, completamente assorbito dai giochi online. Con il consiglio di Dokko, la donna tenta di riavvicinarsi al figlio scrivendogli una lettera sincera e offrendogli il suo gimbap triangolare preferito, cercando così di ricostruire una relazione basata sull’ascolto e la comprensione.

Anche la signora Yeom deve affrontare un rapporto complesso con il figlio. Questi, infatti, vuole vendere il minimarket per finanziare la sua nuova impresa commerciale. Ma non solo: diffidente verso Dokko, il figlio della signora Yeom assume un detective per scavare nel suo passato e scoprire cosa nasconda.

Gradualmente, Dokko riacquista la memoria – e sorvolo sulla credibilità di un alcolista che ha tenuto il cervello in ammollo nel soju per anni, e poi riacquista la memoria perché così possiamo trarre tutti una bella lezione di vita…
Man mano che i suoi ricordi riaffiorano, anche il suo passato traumatico viene a galla.

Alla fine decide di lasciare il minimarket per fare ammenda dei suoi errori. Il romanzo quindi è la parabola della trasformazione di Dokko: da emarginato e reietto della società a onesto lavoratore, amato e apprezzato da tutti. Un uomo capace di guardare in faccia la vita e le sue sfide senza farsene travolgere, ma affrontandole con dignità.

Il messaggio veicolato nel romanzo è sicuramente nobile e accorato. Purtroppo, mi sento di dire che il riassunto è più bello del romanzo – che non è brutto, non è pesante, non è difficile da leggere. In realtà, non è granché. È decisamente inconsistente.

Tante promesse, poca sostanza: temi accennati, personaggi piatti (e un lettore maltrattato)

La maggior parte dei lettori sottolinea il fatto che questo libro “scalda il cuore”, tratta temi come la solitudine, la pressione sociale e la ricerca della felicità. E’ vero, ma questi temi restano a un livello superficiale, sono appena accennati.

Quella che ci viene presentata è una carrellata veloce e poco approfondita di personaggi e situazioni. Ci viene presentato il venditore di attrezzature mediche stressato sulla quarantina, gravato dalle pressioni lavorative e familiari. L’attrice teatrale diventata drammaturga che affronta un blocco creativo. L’ex agente di polizia sulla sessantina che ora lavora come investigatore privato in difficoltà.

Insomma, un elenco pedante e ripetitivo che non aggiunge niente al concetto che avevamo già capito dopo le prime 100 pagine. E cioè che il minimarket è una metafora della società — un microcosmo che rappresenta il mondo e le sue sfide. Purtroppo, però, le pagine sono zeppe di dialoghi su dettagli banali e quotidiani che vorrebbero sembrare ispirati, suggerire qualcosa sul senso della vita. Come ad esempio, il già citato kimbap triangolare che diventa metafora della rinnovata comunicazione tra madre e figlio.  

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Si tratta però di simbologia spicciola, peraltro accompagnata quasi sempre da pedantissime riflessioni sulla vita che vorrebbero sembrare illuminate, ma che spesso risultano didascaliche, come se l’autore avesse bisogno di spiegare troppo, di guidare un lettore pigro e non troppo sveglio verso il messaggio che vuole veicolare.

Dialoghi poco credibili

Vi faccio un solo esempio, che mi è utile a dimostrare non solo quanto detto finora, ma anche a svelarvi un ultimo trigger: i dialoghi in questo romanzo, sono assolutamente poco credibili. Nessuno parla nel modo in cui Kim Ho-yeon ci mostra nelle sue pagine.

Siamo verso la fine del romanzo. Il dialogo è tra Dokko – che finalmente ricorda tutto del proprio passato e sta per lasciare Seoul – e il capo del minimarket per il quale fino a poco prima ha lavorato. Stanno parlando del coronavirus, poiché siamo in pieno periodo pandemico. [Il dialogo è lievemente modificato per rendere chiaro chi sta parlando.]

«E’ così tranquillo ora che tutti portano la mascherina», dice il capo.

«Ha ragione», risponde Dokko.

L’altro dice: «Tutti non fanno che parlare solo di loro stessi. Il mondo non è l’aula di una scuola media, ma le persone vivono dandosi delle arie e facendo finta di sapere tutto. Ecco perché la Terra ci ha dato questa malattia, per farci stare zitti».

E Dokko risponde: «Ci sono persone che parlano senza usare la mascherina»

«Beh, quelle persone hanno bisogno di una sgridata», la chiude lì il capo.

Ora, in questo passo molte cose ci sarebbero da sottolineare, ma mi limiterò a dirne un paio. La prima e la più evidente è che nessuno al mondo parla così. E’ uno scambio che non ha senso, non ha consecutio, non ha logica né credibilità. Al capo di Dokko manca giusto un teschio in mano, un bel mantello sulle spalle, ed è pronto a calcare i peggiori palcoscenici di provincia.

Purtroppo, però, devo soffermarmi anche sul messaggio, che mi ha fatto saltare sulla sedia mentre leggevo. Ovvero, il Covid come «punizione per far star zitti gli uomini», una sorta di castigo divino.

L’infelice battuta del capo di Dokko suggerisce che milioni di persone abbiano sofferto e perso la vita come risultato di un giudizio morale. E in questo caso, il giudizio morale è che le persone si danno delle arie, fanno finta di sapere tutto e quindi meritano di essere messe a tacere tramite una pandemia. Ora, so che stiamo parlando di un libro, di un personaggio e di una storia di poco valore. Ma certi temi andrebbero trattati con rispetto.

E quindi, alla fine di questo giro tra gli scaffali del minimarket della signora Yeom, cosa ci rimane? Be’, direi una lunga lista di lezioncine pedanti, riflessioni superficiali e didascaliche, e buone intenzioni che non si concretizzano mai.

Vale la pena leggerlo? Perché no, purché siate consapevoli che è un romanzo che non lascia impressioni durature.

Ma niente paura! Libri & Altri disastri è una Rubrica che non vi saluterà mai con la sensazione di delusione alla fine. Ogni articolo finirà con un bonus, un piccolo tesoro da scoprire, perché c’è sempre qualcosa di bello che merita la nostra attenzione.

Uscito nel 2022 per i tipi della Mondadori, Crying in H Mart racconta la storia dell’autrice, figlia di madre coreana e padre americano. È una vicenda che si muove tra l’America e la Corea, e segue il percorso dell’autrice nella ricerca della propria identità, divisa tra il bisogno di accettazione (è infatti una delle poche bambine di origine asiatica a Eugene, in Oregon) e il richiamo profondo della sua eredità culturale coreana.

Il romanzo prende avvio dalla malattia e morte della madre, evento-cardine che spinge l’autrice a riconnettersi con il suo passato e con le tradizioni familiari, riscoprendo suoni, sapori, odori e gesti che la riportano alle sue radici coreane, e che le permettono di riabbracciare appieno la sua identità.

Crying in H Mart, come suggerisce il titolo, è un memoir profondamente commovente, a tratti venato di umorismo, e ricco di sfumature agrodolci. Si piange molto, ma è un pianto liberatorio, di quelli che ti purificano e ti fanno sentire meglio.

Personalmente, mi ha catturato fin dalle prime pagine. È un testo intenso, evocativo e poetico, senza mai risultare retorico. Non posso che consigliarlo, con una piccola avvertenza: è una lettura impegnativa, ma non perché sia pesante o difficile in senso stretto,  ma piuttosto per i temi trattati — morte, memoria, separazione — che toccano corde profonde, riconducibili all’esperienza

Maggiori info sul libro qui.

Ed è qui che vi lascio per oggi, con questa raccomandazione speciale. Che si tratti di disastri o di vere e proprio chicche, ogni libro ci regala intense emozioni, e non vedo l’ora di scoprire cosa ci riserveranno i prossimi episodi!

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