My Liberation Notes (Il diario della mia libertà), 2022

Che My Liberation Notes fosse un capolavoro annunciato lo si capiva non solo dal formidabile cast ingaggiato, ma dai nomi che hanno lavorato alla produzione.

Tanto per cominciare la regia è stata affidata a Kim Suk-Yoon, che ha diretto kdrama impegnati e di successo come Radiant con tecnica sicura e sensibilità straordinaria. La sceneggiatura, poi, è stata messa nelle mani di Park Hae-young, che ha scritto forse il più famoso (e per quanto mi riguarda meraviglioso) drama della storia, My Ajusshi, ed è autrice di altri gioielli quali Another Miss Oh. Insomma, una penna benedetta.

Il pilot (l’episodio iniziale) è potente nella sua essenzialità. Succede poco e ancor meno viene detto. Eppure quello che accade sullo schermo ha il respiro di un’epopea, di una saga familiare in cui non c’è spazio per gli eroi, e ogni cosa è erosa da una quotidianità sfiancante.

La prima metà della serie è dedicata all’approfondimento dei personaggi, alle loro vite, alla descrizione minuziosa del loro continuo affaccendarsi. I pasti silenziosi, il lavoro estenaunte nei campi sotto il sole, le corse nella metro, l’impiego in ufficio, le chiacchiere sciocche coi colleghi, la prospettiva che nulla il giorno dopo sarà diverso dal precedente.

C’è moltissima poesia nel modo in cui tutto questo viene descritto. Dalla fotografia alla recitazione degli attori (spesso fatta di soli gesti), ogni cosa è intensa. Il frinire delle cicale nei campi è assordante, e per interi minuti è l’unico suono che si sente. Eppure, è straordinario nell’evocare la sensazione di fatica che i personaggi provano raccogliendo i frutti della terra nell’afa dell’estate. Sentiamo scorrere sulla pelle il sudore appiccicoso. La nostra schiena è dolorante come la loro. Il fiato è corto e caldo, e potremmo essere noi a dire come Chang-hee: «Odio questa stagione in cui la temperatura dell’aria che inspiro è uguale a quella che espiro».

Mi-jeong, Ki-jeong e Chang-hee sono tre fratelli che lottano per riuscire a ritagliarsi uno spazio nel mondo. Hanno una vita frustrante sia a casa sia sul lavoro. I loro rapporti sociali, seppure in modo diverso, sono ugualmente imbarazzanti e talvolta sconvenienti. Il fatto poi di abitare nell’estrema periferia di Seoul («l’albume di Seoul», secondo la suggestiva metafora di Chang-hee), li rende ancora più isolati. Geograficamente e socialmente.

La storia dei fratelli Yeom colpisce perché non è una storia tragica, ma una vicenda di banale, logorante afflizione. Per questo ci riguarda tutti. «Non sono infelice, ma non sono nemmeno felice», dice Mi-jeong, la più giovane dei tre.

Ognuno di loro è alle prese con una personale, intima battaglia.

Il diario della mia libertà drama finale Netflix

Yeom Ki-jeong (interpretata da Lee El)

La maggiore dei tre fratelli è ossessionata dall’amore tanto quanto dai suoi capelli, simbolo di una giovinezza che sta sfiorendo. Decisa ad abbandonare l’orgoglio che l’ha sempre tenuta lontana dagli uomini, è ora determinata ad amare «chiunque». Il suo «chiunque» si presenta nei panni di un padre divorziato e depresso, Tae-hoon.

Quello di Ki-jeong è un personaggio egocentrico e poco consapevole di se stesso. A tratti irritante e meschino, è motivato però da un sincero desiderio di amare. A dispetto dell’età, è rimasta una ragazzina che non ha idea di come funzionino le relazioni, ma è dotata di un‘istintiva dolcezza che il rapporto di coppia è capace di far maturare.

La sua storyline, per quanto coerente e lineare, è anche quella che regala meno emozioni. C’è un che di consolatorio nel misurato lieto fine che lega i due fidanzati. Ma – come spesso accade nella vita – qui a realizzarsi non è il sogno di due innamorati, ma il sodalizio di due caratteri compatibili.

Yeom Chang-hee (interpretato da Lee Min-ki)

Il secondogenito è il personaggio che, con le sue sole forze, compie l’evoluzione più netta. Da logorroico e pedante seccatore, uomo mediocre afflitto da manie di grandezza ma purtroppo da una patologica disistima, riesce a imprimere una decisa svolta alla sua vita. In realtà lo fa leggendo a suo vantaggio tutta una serie di eventi che gli capitano (la morte delle persone a lui care, le relazioni con gli altri, i sogni, addirittura le sue funzioni intestinali). Traendo forza e ispirazione da tutto ciò, credendo di essere lui stesso in qualche modo dotato di un istinto eccezionale, Chang-hee diventa artefice del proprio destino. Un destino fortunato, che gli regala ciò che più di tutto aveva agognato fin dall’inizio: l’apprezzamento del padre. Un percorso che alla fine ci offre un’emozione forte.

Yeom Mi-jeong (interpretata da Kim Ji-won)

La più giovane dei figli è anche la protagonista delle «Liberation Notes», colei che più di tutti forse si sente ingabbiata fin dalla nascita in un mondo che non sente suo. Silenziosa, schiva, socialmente inetta, Mi-jeong è in realtà una donna passionale. «Non mi importa dove andrò quando morirò», dirà a Mr. Gu. «Voglio vedere il Paradiso da viva». Benché abituata a essere abbandonata dagli uomini («file e file di stronzi»), dopo aver conosciuto Mr. Gu la sua missione diventa quella di venerarlo e farsi venerare. Sarà un percorso strano e imprevedibile quello che li attenderà. Ma di certo, è un percorso che li troverà trasformati all’arrivo.

Mi-jeong è sicuramente una figura interessante e inusuale nel panorama dei drama coreani. Avara di parole ma non di sentimenti, è splendido il modo in cui decide di amare Mr. Gu: senza freni, senza giudizi, senza ansie. Tuttavia è proprio sul suo personaggio e la sua storyline che si concentrano le maggiori perplessità. E’ vero che la regia a un certo punto ci lascia intendere che tra i due è stato amore a prima vista. Ma è anche vero che Mi-jeong insiste sul concetto dell’amore come «atto di volontà». Dice infatti che si decide di amare o non amare una persona. Affermazione che non condivido, a meno di non dare alla parola “amore” un significato molto blando.

Così come affascinante, ma in fin dei conti poco sostanziosa, tutta la tiritera legata alla “venerazione“. Quel che Mi-jeong chiede a Mr. Gu in realtà è incondizionato sostegno e fiducia. Quando infatti lui le domanda: «Come si fa a venerare qualcuno?», lei risponde «Fai il tifo per loro. Dici che possono fare qualunque cosa, e che tutto è possibile». Usare paroloni evocativi è un espediente un po’ facile per «avere più carisma e sintomatico mistero». E lui ci casca in pieno…

Mr. Gu e Mi-jeong

Lui: Mr. Gu (interpretato da Son Seok-koo). Individuo senza nome, Dumbo, il lavoratore stagionale, l’alcolizzato. Mr. Gu ha l’indubbio pregio di saper attirare l’attenzione su di sé, suo malgrado. Sfuggito da un passato che lo perseguita, da persone e fantasmi che maledice nella sua testa e che tenta di stordire con l’alcol, Mr. Gu è un personaggio magnetico. Credo che tutti – chi più chi meno – siamo siamo rimasti incantati da lui, dall’uomo, l’attore, la performance, da quegli occhi e quel viso cosi eloquenti ed espressivi.

Anche se scopriremo i suoi trascorsi solo nella seconda metà della serie, capiamo presto che Mr. Gu ha un conto aperto con essi. Ma nel frattempo inizia con Mi-jeong un’inusuale relazione fatta di piccoli gesti e dialoghi profondi.

«Tu devi uccidere i tuoi istinti. Devi andare in città e anestetizzarli. Così, anziché parlare di rane schiacciate a morte, sarai in grado di dire cose superficiali come fanno le altre donne. Finché non ti stufi. Finché gli uomini non ti stuferanno. Le donne con istinti taglienti spaventano. Tu… tu mi spaventi».

Mr. Gu
La venerazione di Mr. Gu: il salto

Ben presto, infatti, Mr. Gu decide di tornare a Seoul e occuparsi dei suoi affari. Mr. Gu torna a Seoul e i cani randagi – quei cani randagi che da ubriaco aveva nutrito anche a rischio di essere morso – sono catturati e messi in gabbia. Metafora degli istinti più selvaggi che vengono adesso ingabbiati.

E’ un passaggio obbligato: Mr. Gu deve ora affrontare i suoi demoni, scendere negli abissi della sua disperazione, guardare in faccia la miseria della sua esistenza.

La sua liberazione avviene nel momento in cui ha il coraggio di chiamare Mi-jeong. Attraverso il suo amore incondizionato e senza pretese, inizia a ritrovare minuscole oasi di felicità e smette di punirsi con l’alcol.

Un finale positivo, che però lascia una pena nel cuore. Tutti hanno raggiunto il loro obiettivo, sono andati a vivere nel «tuorlo di Seoul», in qualche modo normalizzando le loro stranezze e asperità caratteriali. Ma il cammino per arrivarvi è stato doloroso, molto è stato perso: affetti, persone, sogni, illusioni.

Il padre, personaggio splendido, nell’ultimo pasto insieme ai figli dirà:

«Se siete abbastanza forti, rimanete da soli»

«Strano, detto da uno che si è sposato due volte», lo rimprovererà Chang-hee.

«Proprio perché mi sono sposato due volte. Sono un uomo debole, ma voi siete migliori di me».

Mi-jeong piangerà sommessamente.

Ecco, questo è uno dei motivi per cui io sono convinta che…

… per me NON si tratta di un finale aperto

Il finale dà evidentemente adito a interpretazioni. E’ piuttosto infuso di speranza, ognuno ha ottenuto la propria liberazione e direi nel modo che gli era più appropriato.

La grande domanda che resta aperta sembra però essere: Mi-jeong e Mr. Gu avranno un futuro assieme?

Leggendo sui siti internazionali, la risposta più quotata sembra essere sì. Un mondo di ottimisti. La loro tesi – che peraltro è plausibile – si basa sulle inquadrature. Nelle ultimissime scene Mi-jeong afferma che la sua vita è divisa tra un prima e un dopo Mr. Gu. Ci dice che adesso lei è completamente pervasa d’amore, straripante di questo sentimento. La vediamo sorridere e voltarci le spalle. Infine, ci viene mostrato il primissimo piano delle scarpe di Mr. Gu che cammina per la strada assolata, con il suo borsone pieno di soldi e finalmente sobrio. Questo indicherebbe il possibile ricongiungimento dei due.

Non credo. Penso che i due stiano prendendo strade separate. Ne sono convinta per alcune frasi dette dai protagonisti nel corso delle puntate.

Mi-jeong all’inizio chiede a Mr. Gu di venerarla e di farla sentire sicura come non era mai stata in vita sua. Gli dice che quando finalmente sarà arrivata a sentirsi forte e impavida, la storia sarà finita. Analogamente, Mr. Gu chiede a Mi-jeong di farle da terapista per 10 sedute, rinnovabili per altre 10 se lui avesse avuto altro da dire. Dopo di che, tutto sarebbe finito. E lei accetta.

Insomma, non credo che il loro sia mai stato un rapporto d’amore tradizionalmente inteso. Non hanno mai parlato del futuro, non si sono mai desiderati o sfiorati (se non una volta, ma opportunamente la macchina da presa non ci ha mostrato quel bacio). La loro relazione è incentrata sulla reciproca rinascita.

«Mi garantisci che, se ti venero, in primavera saremo entrambi diversi?», le chiede lui nelle prime puntate. Ecco, questa domanda rivela che in gioco non c’è l’amore. C’è la sopravvivenza. Nel momento in cui entrambi hanno imparato a sopravvivere l’uno grazie all’altro, le loro vite possono finalmente iniziare.

Libere.

I membri del Club della Liberazione

Le tre regole del Club della Liberazione:

1. Non fingerò di essere felice.

2. Non fingerò di essere infelice.

3. Sarò sincero.

Postilla: Non dare consigli, né tentare di dare conforto.

Voto: 9+

Numero puntate: 16

Durata: 1h e 10 circa

Dove vederlo: Netflix

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7 risposte a “My Liberation Notes (Il diario della mia libertà), 2022”

  1. Avatar Enrica
    Enrica

    Grazie per la tua analisi, ho avuto delle conferme e mi hai fatto riflettere su alcuni punti. Non è un drama facile, i protagonisti spesso ti fanno esasperare. Ma forse la cosa peggiore è che evidenziano parte di quotidianità della tua stessa vita che è difficile da accettare.

    1. Avatar Valentina

      Grazie a te del commento!
      Concordo, non è un drama facile, ma proprio perché ci mette a nudo ritengo sia un drama molto bello.

  2. […] magnetica, di un magnetismo feroce e rabbrividente. Magistralmente interpretato da Son Sukku (il Mr. Gu di My Liberation Notes), non è un villain piatto e bidimensionale, ma ricco di sfaccettature, un uomo tormentato […]

  3. […] fantasia (e lo faccia molto bene), il mondo rappresentato dalla sceneggiatrice – la stessa di My Liberation Notes – sembra essere straordinariamente reale. Non è reale solo nella rappresentazione […]

  4. […] superiore agli altri? Pur avendone amati molti (soprattutto Twenty-five Twenty-one, Tomorrow e My Liberation Notes), la mia preferenza va senza dubbio a Our […]

  5. Avatar Stefania Flori
    Stefania Flori

    Ho letto con grande attenzione e concordo quasi interamente con te, tuttavia ritengo che loro siano destinati a stare insieme. E’ vero che non si sono mai promessi nulla, ma la regola delle 10 sedute non scadrà mai perché avranno sempre qualcosa da dirsi proprio perché non non essendosi scambiati alcuna promessa sul futuro vivranno in una dimensione dell’oggi da costruire. Loro sono il tuorlo e si proteggono dal e con l’albume che li circonda. Il sorriso finale di lei, infine, non è solo rivolto a sé stessa adorabile, che si scopre conn la lettura dei suoi diari di adolescente, ma è rivolto a lui che, sobrio, le va incontro.

    1. Avatar Valentina

      Certo, è più che plausibile. Il finale è aperto e non esiste un’interpretazione univoca. Mi piace molto anche il tuo punto di vista, estremamente poetico e coerente con il drama. Grazie per averlo condiviso! 🙂

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