Mondadori l’ha spinto con grande enfasi e l’11 febbraio Hamartía è finalmente arrivato in libreria. Il nuovo romanzo di Rossana Soldano nasce sotto il peso di un’eredità importante: il successo di Come Anima Mai.
L’ho letto appena uscito e vi racconto che cosa ne penso.
Rossana Soldano dopo Come Anima Mai. Cosa è cambiato?
Con Come Anima Mai, uscito nel 2019, Rossana Soldano aveva lasciato il segno nel panorama della narrativa MM.

Nato come fan fiction su Harry Styles, Come Anima Mai è un corposo romanzo MM storico che si è trasformato in un caso editoriale grazie al passaparola, ai social e all’intenso coinvolgimento emotivo che ha saputo suscitare nei lettori.
Pubblicato inizialmente da una piccola casa editrice, la Hope Edizioni, ha ottenuto ristampe su ristampe fino ad approdare sugli scaffali Mondadori, conquistando infine anche il mercato spagnolo.
Inevitabile, quindi, che Hamartía, il nuovo romanzo della Soldano, fosse atteso con aspettative altissime.
Ma il risultato è all’altezza di tali aspettative?
Come Anima Mai non è un romanzo perfetto. La sua origine come fan fiction si avverte nella struttura frammentata, nei momenti ridondanti e negli schemi narrativi ripetitivi.
Lo sfondo storico, per quanto ingenuo e poco accurato, serve però da cornice a ciò che davvero conta: una storia d’amore totalizzante. I due protagonisti, Lewis Ellsworth e William Chase, si consumano in un legame tormentato, fatto di desiderio e sofferenza, che trascina il lettore dalla prima all’ultima pagina. La passione si respira a pieni polmoni. Il pathos anche. Difetti a parte, questo romanzo emoziona.
Ma cosa succede in Hamartía?
Trama e temi in Hamartía di Rossana Soldano
Hamartía ci porta nella Roma del 1967, in un’estate torrida che segnerà la vita di Lucas, un giovane americano in cerca di alloggio. All’Arco degli Acetari, inizierà a condividere un appartamento con Cristiano, un giovane romano verace, esuberante e apertamente omosessuale.

Lucas e Cristiano, pur molto diversi, finiscono per intrecciare un legame profondo. Cristiano è istinto e libertà, Lucas è prudenza e controllo – aggrappato a un mondo che gli offre regole e certezze, proteggendolo dai suoi stessi sentimenti.
Sullo sfondo di una Roma che sta vivendo i fermenti del ‘68 e le prime rivoluzioni culturali, tra scontri generazionali e tensioni sociali, Lucas dovrà fare i conti con ciò che desidera davvero. Se Cristiano lotta con una famiglia che non lo accetta per quello che è, Lucas d’altra parte si misura coi i demoni interiori di un destino che si è autoimposto, e che non sembra lasciargli spazio per l’amore.
Ma c’è una domanda a cui entrambi non possono sottrarsi: a quale parte di se stessi si può rinunciare per essere felici?
Hamartía di Rossana Soldano, la recensione
Il primo problema del romanzo è l’assenza di caratterizzazione dei personaggi. Lucas e Cristiano restano sfocati, privi di dettagli che li rendano vivi sulla pagina. Sappiamo appena che uno ha gli occhi blu, anzi, che «nessuno ha gli occhi così blu» – lo si scopre di sfuggita nella scena in cui Lucas fa la conoscenza di Isabella. Sappiamo che l’altro è magro e ha i capelli ricci. Fine. Non c’è altro.
Cosa li distingue? Come si muovono? Che gesti li tradiscono? Mistero. Questo è un male per il lettore, perché rende difficile immaginarli, ancora più difficile affezionarsi a loro. Anche i personaggi secondari soffrono dello stesso problema. Appaiono, spariscono, si confondono tra loro. Sono poco più che comparse senza identità. Insomma, solo nomi che vengono usati ai fini della trama, mossi come pedine, e dei quali non conosciamo né la storia né il destino.
La storia d’amore di Lucas e Cristiano: la grande delusione di Hamartía
Il secondo grande problema è che in Hamartía manca completamente il pathos. La storia d’amore tra Lucas e Cristiano si sviluppa senza climax, senza una reale tensione emotiva. Non c’è chimica tra loro. Non si avverte il desiderio, l’attesa, il tormento.
Com’è nata questa attrazione? Non si sa. La scena in cui avviene il primo bacio, ad esempio, è terribilmente anticlimatica. Arriva dopo pagine e pagine di conversazioni piuttosto piatte in cui i due protagonisti si sono confidati il loro passato e hanno fatto le solite scorribande per Roma (che in pratica è la sintesi di tutto il romanzo). Al ritorno da un giro in moto, Cristiano posteggia, afferra Lucas e lo bacia. Vi siete emozionati leggendo? Be’, sarà lo stesso nel libro, perché la scena è descritta proprio così.
Lo stesso vale per tutto il resto: abbracci, sesso, rotture, allontanamenti, riappacificazioni. Momenti che dovrebbero essere appassionati, tormentosi o carichi di significato si susseguono in modo piatto, senza lasciare traccia.
I cliché narrativi esistono per un motivo: perché funzionano. Un enemies-to-lovers, per esempio, crea tensione perché costruisce un percorso. L’ostilità iniziale rende l’attrazione più intensa, il desiderio più carico. Uno slow burn gioca sull’attesa, sulla frustrazione, su un crescendo che tiene il lettore incollato alla pagina.
Qui, invece, non c’è niente di tutto questo. Lucas e Cristiano non sono nemici, ma nemmeno amici. E la componente erotica è così tenue da non farceli percepire neanche come amanti. Il loro rapporto resta indefinito, sospeso in un limbo che non trasmette nulla. Freddo. Non c’è altra parola per descriverlo. Non c’è conflitto, non c’è carnalità, non c’è tormento né complicità. Ed è proprio questo il problema: la loro relazione non pulsa, non vibra, non lascia traccia.
Una storia debole con un finale affrettato
Il terzo grande problema del romanzo è la storia. Arrivata a tre quarti del libro, la domanda mi è sorta spontanea: dov’è l’intreccio? Qual è la vicenda? Gli eventi sono, infatti, pretestuosi e rarefatti. I personaggi più intenti a riflettere e a pensare che ad agire. Non esiste un vero conflitto narrativo, in quanto le pagine sono dedicate quasi interamente all’inesausto dialogo interiore di Lucas.
Il primo barlume di sviluppo arriva solo nell’ultimo quarto del romanzo, quando finalmente accade qualcosa. Mi dispiace persino dire, però, che gli eventi si susseguono in modo prevedibile e affrettato. Non ho apprezzato l’escamotage debole della lettera scritta quarant’anni dopo, che dovrebbe dare sollievo alla vicenda, ma finisce per avere un amaro senso consolatorio per un lettore ormai sfibrato. Un “colpo di scena” che non sorprende, non emoziona e non riscatta un intreccio che, di fatto, non c’è mai stato.
Hamartía, considerazioni conclusive
Alla fine della lettura, cosa resta davvero di Hamartía?
Le minuziose descrizioni di Roma dovrebbero creare un’atmosfera magica ed evocativa. Purtroppo, finiscono per appesantire il racconto. L’ambientazione storica, pur presente, non incide veramente sui personaggi né sulle loro vicende. Un conflitto interiore, quello di Lucas, che avrebbe potuto essere potente, viene soffocato da un’infinità di riflessioni dette anziché agite.
In conclusione, laddove Come Anima Mai, pur con tutti i suoi difetti, aveva saputo coinvolgere ed emozionare, Hamartía si dissolve in una narrazione priva di impatto. La storia d’amore non colpisce, il conflitto interiore non lascia il segno, il ritmo si affloscia invece di crescere. Tutto resta in superficie. Mancando quella scintilla capace di accendere le emozioni, il romanzo finisce per scivolare via senza lasciare nulla dietro di sé.
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