Ennesima tragedia in Corea del Sud. Due giorni fa, 18 febbraio, è venuta a mancare Lee Yoo Joo, istruttrice di yoga e volto noto della TV. Aveva solo 35 anni.

Conosciuta per la sua partecipazione a Infinite Challenge, dove ha portato lo yoga nelle case di milioni di spettatori, Lee ha ispirato con il suo carisma e la sua simpatia. Solo un giorno prima della sua scomparsa, aveva condiviso un selfie su Instagram con un semplice messaggio: «Bye».
Anche se le indagini sono ancora in corso e non ci sono versioni ufficiali sulle cause della morte, quell’ultimo messaggio ha lasciato i fan sconvolti e pieni di domande, gettando un’ombra inquietante su un addio così improvviso.
I funerali non sono stati pubblici, ma lo studio Yogaum ha allestito uno spazio per chi ha voluto salutarla un’ultima volta, rispettando così i desideri della famiglia.
Tre morti in 10 giorni. La Corea dice addio anche a Kim Rieul e Kim Sae-ron
L’11 febbraio, il mondo della moda ha perso Kim Rieul, designer di 32 anni.
Quattro giorni fa, il 16 febbraio, l’attrice Kim Sae-ron se n’è andata a soli 24 anni, lasciando sgomenti fan e colleghi.
E adesso, Lee Yoo Joo…
Tre giovani vite interrotte nel giro di dieci giorni.
Tre storie di talento e successo, spezzate improvvisamente.
Una scia di suicidi dal 2017 a oggi
Negli ultimi anni, il mondo dello spettacolo sudcoreano è stato colpito da una serie di suicidi che hanno scosso profondamente l’opinione pubblica. Una lista dolorosa che racconta di giovani vite spezzate, di talenti che sembravano avere tutto, ma che in realtà vivevano un dolore silenzioso e invisibile.
Leggerli tutti di seguito è impressionante.
18 dicembre 2017: Kim Jong-hyun, cantante principale del gruppo SHINee, 27 anni.
14 ottobre 2019: Sulli (Choi Jin-ri), attrice ed ex membro del gruppo f(x), 25 anni.
24 novembre 2019: Goo Hara, cantante e attrice, ex membro del gruppo Kara, 28 anni.
3 dicembre 2019: Cha In-ha, attore e membro del gruppo di attori Surprise U, 27 anni.
29 agosto 2022: Yoo Joo-eun, attrice nota per i suoi ruoli in Big Forest e Joseon Survival Period, 27 anni.
19 aprile 2023: Moon Bin, cantante e membro del gruppo ASTRO, 25 anni.
27 dicembre 2023: Lee Sun-kyun, attore noto per il film Parasite e My Mister, 48 anni.
12 novembre 2024: Song Jae-rim, attore conosciuto per ruoli in Moon Embracing the Sun, 39 anni.
11 febbraio 2025: Kim Rieul, designer di hanbok per artisti K-pop, 32 anni.
16 febbraio 2025: Kim Sae-ron, attrice nota per Bloodhounds, 24 anni.
18 febbraio 2025: Lee Yoo Joo, istruttrice di yoga e personaggio televisivo, 35 anni.
Tra tutti questi, quello di Lee Sun-kyun risuona con un’eco particolarmente amara. Un attore di talento, conosciuto in tutto il mondo per il suo ruolo nel film Premio Oscar Parasite. Si è tolto la vita il 27 dicembre 2023, a 48 anni.
Il suicidio di Lee Sun-kyun. Cosa ci dice della società coreana
Il suo nome era stato trascinato in un vortice di accuse infamanti: uso di sostanze stupefacenti. Accuse che, nel mondo dello spettacolo coreano, equivalgono a una condanna sociale senza appello. Ben tre test antidroga negativi avevano dimostrato la sua innocenza. Lee Sun-kyun aveva dichiarato con fermezza la sua estraneità ai fatti, sostenendo di essere stato ingannato da una hostess.
Il giorno prima della sua morte, aveva persino richiesto un test con la macchina della verità per provare la sua innocenza. Ma nulla di tutto questo è bastato. Nulla è riuscito a spezzare il muro di accuse, di speculazioni mediatiche, di giudizi implacabili e lo shitstorm che ne è derivato.
Lee Sun-kyun si è tolto la vita, lasciando una moglie (l’attrice Jeon Hye-jin), e due figli piccoli.
Successivamente, l’indagine è stata chiusa senza ulteriori sviluppi, perché non sono emerse prove concrete. E le persone accusate di ricattarlo sono state arrestate e condannate per estorsione.
Ma ormai era troppo tardi. Il danno era stato fatto. L’ingiustizia della colpa senza prove aveva già vinto, spingendo un uomo innocente al limite estremo.
Questa vicenda solleva domande inquietanti su una società che non perdona, su un sistema mediatico spietato che condanna senza appello, su una pressione sociale che non lascia scampo.
In Corea c’è spazio per le seconde opportunità?
In Corea c’è spazio per le seconde opportunità? Mi ponevo questa domanda in tempi non sospetti, in un episodio del mio Podcast dell’ottobre 2023, dove parlavo di cultura della cancellazione.
In Corea del Sud, la cultura della cancellazione è un sistema sociale che prevede conseguenze reali e devastanti per chi commette un errore o viene travolto da uno scandalo. Caso emblematico, quello di Yoo Ah-in (per il quale vi rimando ai numerosi articoli presenti sul sito).
Nella serie Netflix Addio alla Terra, in cui Yoo Ah-in interpreta il protagonista principale, la produzione ha deciso di rimontare il drama in post-produzione per – così è stato detto – «ridurre al minimo il disagio degli spettatori». Ovviamente, ci si riferiva agli spettatori coreani, per i quali le vicende giudiziarie e i problemi di droga dell’attore sono evidentemente un tema particolarmente controverso.
Un approccio analogo è stato adottato nel film di prossima uscita The Match, dove nel trailer ufficiale Yoo Ah-in viene mostrato quasi esclusivamente di spalle, cercando di minimizzare la sua presenza.

Insomma, in Corea del Sud, le vicende personali delle celebrità non vengono considerate semplici questioni private, ma diventano rapidamente questioni morali e sociali, capaci di influenzare l’opinione pubblica in modo profondo. La colpa non ammette repliche né giustificazioni. Chi sbaglia, anche solo una volta, viene cancellato senza appello, privato del diritto di difendersi o di ricostruire la propria immagine.
Questa dinamica diventa ancora più spietata quando colpisce personaggi pubblici. In un Paese dove la reputazione è tutto, anche solo il sospetto può trasformarsi in una condanna sociale definitiva. E la possibilità di riabilitarsi è praticamente inesistente.
Una società senza redenzione: lo Squid Game della vita reale
Il Professor Na Jong-ho, nel commentare la tragica scomparsa di Kim Sae-ron, ha usato una metafora potente per descrivere questo fenomeno: «Una società che seppellisce le persone senza dar loro una possibilità di recupero non è sana. Fa sembrare la nostra società un enorme Squid Game».
Il riferimento a Squid Game dà una chiave di lettura per comprendere una dinamica sociale complessa. Proprio come nel gioco mortale della serie Netflix, chi commette un errore viene eliminato, senza possibilità di redenzione. Chi cade non ha modo di rialzarsi. Chi perde la propria reputazione viene cancellato dal sistema sociale, senza appello.

È ciò che è successo a Kim Sae-ron, accusata di guida in stato di ebbrezza e travolta da un’ondata di critiche che hanno spazzato via la sua carriera. Nonostante le scuse pubbliche e il tentativo di prendersi una pausa dalle scene, la condanna sociale è stata inesorabile. L’opinione pubblica non ha mostrato pietà né comprensione, e ogni tentativo di andare avanti è stato accolto con derisione.
Quella che poteva essere una caduta temporanea è diventata una condanna definitiva, fino all’epilogo tragico della sua scomparsa.
La cultura della perfezione e l’intransigenza sociale
La società coreana è nota per le altissime aspettative sociali e per una cultura che non ammette l’errore. Fin dall’infanzia, si viene educati a cercare la perfezione in ogni ambito: scolastico, lavorativo, estetico ed economico.
La pressione inizia sui banchi di scuola, dove il sistema educativo è uno dei più competitivi al mondo. Gli studenti affrontano orari massacranti, alternando le lezioni a scuola alle hagwon (gli istituti privati di ripetizioni) fino a tarda sera.
Questa corsa all’eccellenza ha un solo obiettivo: l’accesso alle migliori università, un traguardo considerato indispensabile per ottenere una posizione sociale rispettabile. In Corea del Sud, non c’è spazio per i secondi posti. Chi non raggiunge l’eccellenza viene considerato un fallito.
Questa mentalità si riflette anche nel mondo del lavoro, dove gli impiegati devono dimostrare dedizione assoluta con orari di lavoro interminabili e prestazioni impeccabili. Il fallimento è visto come disonorevole non solo per l’individuo ma anche per la sua famiglia, creando così un senso di vergogna difficile da superare.
A questa cultura della performance si aggiunge un’ossessione per i canoni estetici, che definiscono standard di bellezza rigidi e inarrivabili. In Corea l’aspetto fisico è un indicatore sociale di successo.
La pelle deve essere perfetta, i lineamenti delicati, il corpo snello e proporzionato. La pressione a conformarsi inizia sin dall’adolescenza (e sono gli stessi genitori a regalare interventi estetici ai figli in età scolare) e si riflette in un uso pervasivo della chirurgia plastica.
E’ chiaro che in un contesto del genere le celebrità sono soggette a un controllo implacabile del loro aspetto fisico, con ogni cambiamento di peso o di stile scrutinato e giudicato senza pietà dall’opinione pubblica. L’immagine, infatti, è tutto. Un errore, una parola fuori posto, o un semplice sospetto possono distruggere una carriera, annullando anni di lavoro in un istante.
Pensate, ad esempio, a quando un attore incappa in uno scandalo, come è accaduto a Park Sung Hoon (ne parlo qui). Non solo deve affrontare una bufera mediatica e un shitstorm online, ma anche contratti pubblicitari cancellati e parti eliminate. In Corea, insomma, non si subisce solo un tribunale mediatico e sommario, ma conseguenze professionali immediate e spietate, senza possibilità di difendersi o redimersi.
Il suicidio in Corea del Sud: un problema sociale complesso
In questa dinamica, il suicidio diventa l’ultima risorsa per chi non vede più un futuro possibile, un atto che riflette una solitudine profonda, amplificata dall’assenza di compassione e dalla mancanza di perdono in un contesto che non ammette fragilità.
Chiaramente non si tratta solo di una questione individuale. È un problema sociale che riguarda una generazione intera, intrappolata in un giogo crudele che non ammette errori. Dove le aspettative sociali diventano catene, e la vergogna pubblica distrugge ogni speranza di redenzione.
Le cause dei suicidi in Corea: tra pressione sociale ed effetto Werther
La Corea del Sud registra uno dei tassi di suicidio più alti tra i Paesi sviluppati. Nel 2022, il tasso è stato di 25,2 suicidi ogni 100.000 persone, con una media di circa 36 decessi al giorno. Nel primo semestre del 2023, quasi 7.000 persone si sono tolte la vita, segnando un aumento dell’8,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Questa tendenza evidenzia una crisi sociale preoccupante che colpisce in particolare i giovani.
Il suicidio è la causa principale di morte per le fasce d’età comprese tra i 10 e i 39 anni d’età. Questo dato mette i brividi.
La pressione sociale, le aspettative familiari, l’ossessione per la perfezione e il bullismo sono fattori determinanti in questo tragico fenomeno. Tuttavia, c’è un altro aspetto che aggrava questa situazione già critica: l’effetto mimesi.
Si tratta di un fenomeno psicologico secondo cui gli individui, specialmente i giovani che sono per loro natura influenzabili, tendono a imitare i comportamenti che vedono attorno a loro, soprattutto quando coinvolgono figure di riferimento o celebrità.

In Corea del Sud, le star del K-pop, gli attori e le attrici sono icone e modelli di perfezione per milioni di giovani. Quando una di queste figure pubbliche si suicida, l’enorme copertura mediatica che ne segue crea un effetto imitativo che può indurre altri giovani, già in difficoltà, a identificarsi con il gesto estremo.
Questo fenomeno è noto in psicologia come effetto Werther (con chiaro riferimento al romanzo I dolori del giovane Werther, di Goethe, in cui il protagonista si suicida poiché innamorato di una ragazza che sposerà un altro uomo).
Non si tratta di minimizzare i problemi sociali profondi che causano i suicidi in Corea del Sud, ma di comprendere che la narrativa mediatica attorno a questi eventi può influenzare i comportamenti emulativi dei giovani più fragili. Parlarne è necessario, perché solo affrontando questo aspetto è possibile trovare una soluzione a un problema così complesso e doloroso.
Guardando al futuro. Un cambiamento possibile?
Se c’è una lezione da imparare da queste tragedie, è che una società senza perdono è una società senza futuro. E’ una società che non riconosce la fragilità umana, la sua fallibilità, e non può crescere né evolversi. Perché è proprio dagli errori e dalle cadute che si impara a essere più forti e più consapevoli.
Un cambiamento è possibile, certo, ma richiede una riflessione collettiva profonda sul significato di accettazione e di perdono, e sul valore delle seconde opportunità.
Occorre ridefinire il concetto di fallimento, riconoscendolo come un’esperienza umana universale e come una parte essenziale del percorso di crescita. Significa trasformare la paura del giudizio in comprensione, la critica in empatia, e la condanna in sostegno.
Ma per fare tutto questo, la Corea del Sud ha bisogno di una vera e propria rivoluzione valoriale che promuova l’accettazione delle imperfezioni – un concetto che al momento è molto distante da una società che vede nell’errore una condanna e nell‘eccellenza un obbligo morale.
Solo quando sarà possibile fallire senza essere espulsi dalla comunità e rialzarsi senza vergogna, la Corea del Sud potrà davvero offrire un futuro ai suoi giovani.
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