Recensione: film giapponese sulla fugacità e la bellezza di un amore disperato
Il mio amore è un fiore di ciliegio è indubbiamente un film crudele.
Il timido Haruto si innamora di Misaki e i due iniziano a uscire insieme. A lei, però, viene diagnosticata una rarissima malattia genetica che la fa invecchiare rapidamente, e la giovane si nasconde al mondo e ad Haruto in attesa di morire, accudita dal fratello.
C’è una scena nel film che mi ha spezzato il cuore, ed è quando Misaki, ormai invecchiata nel corpo ma non nei sentimenti, si fa accompagnare in macchina sul posto di lavoro di Haruto per poterlo guardare da lontano ancora una volta.
In quella scena silenziosa il regista ha saputo racchiudere non solo il senso di un amore duraturo, ma la profonda tragicità dell’esistenza – il crudele contrasto tra la prepotente giovinezza di Haruto e la fragile vecchiaia di Misaki, l’affaccendarsi di uno e il nascondersi dell’altra, una vita che ribolle e un’altra che declina. La contrapposizione dolorosa tra chi sta costruendo il suo futuro e chi si accomiata dal proprio passato.
Il titolo stesso non è troppo velato nel suggerire la similitudine dell’amore con la caducità dei sakura, letteralmente i boccioli di ciliegio.
Abbiamo l’idea, oramai radica nel senso comune, che l’amore sia degno di essere vissuto solo quando è eterno. Ecco, io credo che la forza di questo film sia nel mostrare la struggente bellezza dell’effimero, quella che lo stesso Goethe descrisse nel Faust quando disse, parlando dell’attimo: «Fermati, sei bello».
Un messaggio davvero profondo e universale.
Voto: 8/10
Durata: 2h circa
Dove vederlo: Netflix
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