Un lungo soggiorno comporta scoprire molte cose di un Paese, cose che ci incantano e ci rapiscono il cuore. Ma anche cose che inevitabilmente non ci piacciono.
Ecco, in questo articolo vi parlerò proprio delle 10 cose che non mi sono piaciute della Corea del Sud, e vi prego di tenere presente che non solo si tratta di opinioni personali, ma che queste nulla tolgono all’amore e il rispetto che nutro verso questo popolo, le sue tradizioni e la sua cultura.
Pronti? Partiamo!
Il traffico di Seoul
Sia che ci si muova coi mezzi, sia che si viaggi in auto, Seoul è una città incredibilmente trafficata. La cosa non stupisce se si pensa che stiamo parlando di una metropoli che ospita circa 10 milioni di abitanti su una superficie che è esattamente la metà di Roma, giusto per fare un paragone con la nostra Capitale.
Quindi: la metà della superficie, ma più del triplo degli abitanti. Ovviamente questo ha un impatto sconvolgente sugli spostamenti, di qualunque natura siano. Io ho viaggiato spesso in macchina, ed è stato estenuante – non lo nego. Autostrade di 4 o 5 corsie completamente congestionate. Per non parlare del numero di incidenti che ho visto sulle strade. Una domenica, rientrando a Gangnam, fui testimone di ben 4 incidenti. Fu piuttosto scioccante.
L’inquinamento dell’aria
L’aria a Seoul è pesante e fortemente inquinata. Secondo le fonti reperite online, tra i Paesi più ricchi del mondo, la Corea del Sud è quello che ha il più alto tasso di inquinamento atmosferico.
Le cause sono molteplici. Parlando con i coreani, loro incolperanno la Cina (tra i due Paesi notoriamente non corre buon sangue). In effetti, le enormi fabbriche e centrali elettriche a carbone cinesi immettono nell’aria polveri sottili che con il vento si diffondo e arrivano fino in Corea, producendo una condizione simile allo smog. Si stima che, nei giorni normali, la Cina sia responsabile del 30-50% delle polveri sottili presenti nell’aria. Ma nei giorni peggiori, causa fino all’80% di inquinamento!
Tuttavia, ci sono anche cause ‘interne’ che contribuiscono ad aggravare la situazione. Il sopracitato traffico è una di queste. Inoltre non bisogna dimenticare che l’economia coreana sta conoscendo un boom notevole: fabbriche, centrali elettrice, importazioni ed esportazioni sono tutti fattori che concorrono a peggiorare la qualità dell’aria.
Per questo motivo i coreani indossano le mascherine anche all’aperto e consultano ogni mattina delle App che monitorano la qualità dell’aria.
Il rumore nei locali
All’estero si ha la convinzione che noi italiani siamo caciaroni e rumorosi. Beh, venite in Corea del Sud se volete avere l’esatta definizione di cosa significhi ‘caciarone’ e ‘rumoroso’. Non appena iniziano a bere e lasciarsi andare, i coreani a tavola sono scalmanati e le loro voci (quelle di maschi e femmine, indistintamente) raggiungono decibel mai uditi prima.
Perché non mi piace? Perché è fastidioso, impedisce di avere una conversazione normale con i propri commensali, costringe ad alzare i toni e fa venire il mal di testa. Non proprio l’atmosfera rilassante che si vorrebbe godere alla fine di una lunga giornata…
La cultura del “palli-palli” a tavola
Siamo al ristorante, soffermiamoci ancora un istante. Sappiamo tutti che la cultura coreana ruota attorno al concetto di “palli-palli”, ossia «Presto! Subito!» L’efficienza e la rapidità sono dei cardini della cultura coreana, e mi è capitato molte volte che le persone con cui mi accompagnavo si spazientissero perché costrette ad attendere un paio di minuti.
In Corea, su ogni tavolo di ristorante c’è un pulsante con il quale si chiama il cameriere per l’ordinazione. Il cameriere arriva nel giro di – che so – 15 secondi. Giuro. Spesso anche meno. Questa efficienza mi ha sempre lasciato sconvolta. E’ qualcosa che noi italiani ci sogniamo. C’è però anche l’altro lato della medaglia.
Finito di mangiare, spesso con il boccone ancora mezzo masticato e mezzo no, mi sento dire: «Andiamo?» Ecco, in Corea dimenticatevi i pranzi e le cene in cui si sta seduti per mezz’ora attorno a un tavolo, parlando del più e del meno, bevendo caffè e sorseggiando amari. Qui non esiste.
Ho provato a spiegare il modo in cui noi italiani intendiamo il pasto, la convivialità, la condivisione della tavola intesa come luogo di scambio, unione familiare e amicale. Il concetto non è arrivato. Per loro la tavola è il posto in cui, molto pragmaticamente, si mangia e basta.
L’assenza del sale nelle pietanze
Lo so che il cibo coreano vi fa gola. E’ oggettivamente bello e ben presentato.
Io poi sono una persona estremamente adattabile: provo tutto, mangio tutto. La settimana scorsa, però, per la prima volta da che sono qui ho avuto un crollo. Sarà stata la stanchezza, non lo so. Ma ero al ristorante col mio fidanzato e mi sono messa a piangere.
Il cibo coreano ha una particolarità: non è salato perché ai coreani il sale non piace. Loro amano sopra tutto l’abbinamento di due sapori: dolce e piccante. Troverete il mix di dolce e piccante molto spesso in piatti che non vi aspettate.
Vedete una bella insalatina verde con una salsetta sopra? Probabilmente è una salsa al kiwi stradolce. Vi portano qualcosa che somiglia a uno spezzatino di carne succulento? Bene, quel denso sughetto è miele. Ovviamente il tutto è anche piccante, perché per loro il piccante è un sapore neutro. (Però, come vi racconto qui, il dessert è senza zucchero…)
Ora, io non amo il dolce e non amo il piccante. Io adoro letteralmente il salato. Ho fatto del mio meglio per due mesi, finché sono crollata e il mio stomaco ha dato forfait. E ho ripiegato sulla cucina giapponese.
Fare la spesa è folle
Il motivo per cui mangiavo così spesso fuori, è perché mi conveniva economicamente. Non scherzo. Fare la spesa in Corea del Sud è da pazzi. Soprattutto comprare frutta e verdura, o prodotti importati come caffè, cioccolato e pasta, ha prezzi proibitivi.
Il costo della vita a Seoul è… strano. Per certe cose si spende relativamente poco (trasporti, ristoranti, prodotti di bellezza), mentre per altre si spendono patrimoni. Ad esempio, è noto che le caffetterie sono carissime, e per un espresso – difficile da trovare – o un americano si può arrivare a spendere 5-6 €, se non di più. Ad ogni modo, ciò che a me ha lasciato più di stucco è stato il prezzo di una… pera! Sì, avete letto bene.
Venduti singolarmente nel mio supermercato di fiducia, questi frutti imponenti, più simili a grosse mele che a pere, venivano l’uno quasi 8000 won. Ossia più di 5€. Lascio a voi ogni giudizio.
Lo sputo
So di averne già parlato, ma la mia è una lotta senza quartiere. Finché non venite e toccate con mano, non potete rendervi conto di quanto sia diffusa l’usanza coreana di sputare a ogni pie’ sospinto. Vi assicuro che è la cosa che più mi infastidisce di questo Paese.
Probabilmente lo fanno soprattutto i fumatori, ma non è una scusante. Il peccato è vedere una città bella, pulita e ordinata come Seoul ammantata dagli scaracchi di persone poco educate. Perché questo è.
I coreani sono indagatori
Non appena vi rapportate a un coreano, fioccheranno domande che per noi occidentali potrebbero essere imbarazzanti o indelicate.
Si tratta per lo più di domande relative all’età, alla situazione familiare, ai figli, alla forma fisica e via dicendo. Non c’è da parte loro alcuna intenzione di ferire o offendere, sono semplicemente curiosi e molto schietti. Il che può di fatto creare qualche momento di confusione o disagio nella conversazione, che però può essere superato tenendo presente le reciproche diversità culturali.
I coreani rispettano le file, però…
Ammetto che questo punto mi ha più volte particolarmente irritato. E’ anche vero che ho vissuto a Londra per un anno, dove il rispetto per l’ordine e le file è qualcosa di impresso nel DNA degli inglesi, e in qualche modo mi è rimasto dentro.
Se è vero che nell’attesa della metropolitana o del bus i coreani sono tutti molto ordinati e composti, al momento di entrare nella carrozza spesso e volentieri non aspettano di far uscire chi è dentro. Lo stesso avviene in ascensore. Chi si trova all’interno (mi è successo innumerevoli volte) deve sgomitare con una certa forza per aprirsi un varco contro l’orda barbarica che vuole entrare.
L’ho trovato molto sgradevole e poco rispettoso, senza considerare le borsettate che le ahjumma mi hanno tirato per impedirmi di uscire e farsi largo. Insomma, una vera e propria corsa ad accaparrarsi il posto, pestando i piedi dei malcapitati sulla via.
Una scarsa internazionalizzazione
Suppongo questo sia il punto più controverso, ma è anche quello sul quale ho più riflettuto.
Un giorno stavo passeggiando con un ragazzo, e lui mi aveva chiesto cosa penso della Corea. Ero a Seoul da un paio di settimane, quindi le mie erano solo prime impressioni. Gli spiegai che mi aveva colpito il fatto di non vedere molti stranieri in giro, il che, per una città grande come Seoul, mi faceva un certo effetto. Unito ad alcune difficoltà che stavo incontrando in quanto ‘straniera’, appunto, mi sentivo di dire che Seoul era ancora ai primi stadi di internazionalizzazione.
Rimasi basita dalla risposta di quel ragazzo. Mi disse: «Io credo che Seoul sia ‘international enough‘ – sufficientemente internazionale».
Dentro di me mi offesi molto. Difficile spiegare il perché, ma mi infastidì il tono, l’atteggiamento di chiusura e il concetto in sé: significava in fondo un rifiuto del diverso da sé. Superfluo aggiungere che non lo rividi mai più.
Al di là di questo, vi spiego perché – dopo quasi 3 mesi in Corea – continuo a pensare che questo Paese sia ben lontano dall’aver raggiunto una piena internazionalizzazione.
L’inglese, questo sconosciuto
Alcuni coreani si offendono se glielo fai notare, ma la conoscenza e la diffusione della lingua inglese a Seoul (la Capitale, non un paesino rurale sperduto nel nulla) è scandalosa.
Il problema non è tanto trovare compagnia qui, ossia qualcuno con cui passare il tempo e chiacchierare. Quello è possibile. Il problema è trovare persone che parlino inglese nei negozi, negli uffici, nelle banche, nei punti informazione. Per non parlare di pubblici ufficiali e tassisti (ne scrivo qui).
I primi giorni andai al Coex Mall a visitare la famosa libreria. Essendo una struttura gigantesca, per non perdermi decisi di chiedere informazioni al desk. C’era una graziosa signorina alla quale domandai se parlava inglese, quasi proforma. Ero al Coex Mall! Il più grande centro commerciale sotterraneo ASIATICO. Pare una barzelletta, no? Lei mi guardò negli occhi, scosse la testa. «Library? No Library!»
Ma come questo potrei farvi decine di esempi.
Esistono locali in cui gli stranieri non possono entrare
Che sia per la lingua, che sia per la paura del Covid (come hanno detto alcuni gestori per difendersi dalle accuse di xenofobia), locali come questi esistono ancora – anche se in numero minore rispetto a qualche anno fa.
Non me la sento di fare commenti perché la notizia si commenta da sola. L’unica cosa che mi auguro è che queste scritte infami che vietano l’ingresso agli stranieri possano scomparire il prima possibile.
Gettare l’occhio sul diverso: gli sguardi
Ho visto l’intervento di Selvaggia Lucarelli all’Istituto Culturale Coreano in Italia e l’ho trovato interessante. Quando afferma che lei non ha fatto esperienza di alcuno sguardo incuriosito dalla ‘diversità’ dell’essere bionda e occidentale, be’, quell’affermazione mi ha trovato in disaccordo, in quanto la mia esperienza è stata molto diversa.
Non solo sono stata scrutata (più dalle donne che dagli uomini) fin dal mio arrivo a Seoul, ma dal momento in cui mi sono ritrovata in una coppia internazionale con un coreano la curiosità nei miei/nostri confronti è aumentata esponenzialmente.
Essere oggetto di tanta attenzione non richiesta fa piacere? No. E’ sgradevole. Che Cheolwoo ed io siamo in metropolitana, al ristorante o stiamo semplicemente passeggiando per strada mano nella mano, non sfuggiamo agli sguardi indagatori dei coreani che ci squadrano. Certo, siamo oggetto di quella curiosità che dicevo sopra. Ma il problema è che i coreani sono curiosi perché, in quanto coppia internazionale, Cheolwoo ed io siamo ‘diversi’, ‘rari’.
In questo senso, per tutte queste ragioni mi sento di dire che la Corea del Sud è ancora ai primi passi di internazionalizzazione, e si è appena aperta al mondo circostante. Sono fiduciosa che poco a poco saprà includere pienamente e del tutto anche le culture diverse da sé.
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