Avete presente Hello Kitty? Nata a Tokyo nel 1974 dalla designer Yuko Shimizu, è un personaggio che ha avuto una risonanza mondiale eccezionale, divenendo un’icona della cultura pop nipponica.
L’impatto che questa graziosa bimba (scambiata dai più per un gattino) ebbe sull’immaginario collettivo fu tale che si parlò di “Pink Globalization” – globalizzazione rosa – per definire la crescente influenza della cultura pop giapponese nel mondo.
E’ proprio a partire dagli Anni ’90 che il Giappone si affermò come super-potenza culturale, esportando i propri prodotti intellettuali e artistici non solo in Asia, ma anche in America e Europa.
Questa strategia rientra a pieno titolo nell’esercizio del cosiddetto “soft power” ovvero «il potere intangibile che uno Stato esercita attraverso la sua immagine», secondo la definizione data dallo studioso Joseph Nye. Detto altrimenti: film, musica, sport sono strumenti di soft power che un governo utilizza e sfrutta per migliorare – in patria e all’estero – la propria reputazione e il proprio peso economico e politico.
Soft power in Giappone: Cool Japan
Che cosa ci viene in mente quando pensiamo al Giappone? Per quanto mi riguarda, samurai, geishe, sushi, manga e anime sono le prime cose alle quali penso quando distrattamente immagino l’Impero del Sol Levante. Non è un caso.
Se ci pensate, le vecchie generazioni sono cresciute guardando Mickey Mouse e Bugs Bunny – ‘cartoni’ americani. A partire dagli Anni ’80, sulla TV dei ragazzi c’è stato spazio solo per prodotti giapponesi: Doraemon, Dragon Ball, Sailor Moon. Questo ha fortemente contribuito alla diffusione di quel fenomeno denominato “Cool Japan“, il cui obiettivo era quello di diffondere la conoscenza del Giappone nel mondo tramite i manga, gli anime, la cucina tradizionale e così via.
Nel 2013 è stato istituito il Cool Japan Fund, un ente pubblico-privato che mira proprio a promuovere lo sviluppo di prodotti e servizi giapponesi all’estero. Al 2022, ha investito circa il corrispettivo di 680 milioni di euro.
Ma perché i prodotti giapponesi hanno avuto tanto successo all’estero?
La risposta non può essere soltanto una. Molti sono i fattori che hanno decretato il diffondersi a macchia d’olio dell’interesse verso una nazione tanto lontana da noi – geograficamente e culturalmente. Prodotti di qualità e ben realizzati. Storie gradevoli e originali. Il gusto per l’esotico mescolato a quello del ‘grazioso‘.
Kawaii, il potere della graziosa vulnerabilità
Kawaii è una delle parole giapponesi più conosciute. Può essere tradotta con “grazioso, carino”, ma ha sfumature complesse. Il Dizionario etimologico giapponese spiega che kawaii trae le sue origini dalla parola kawahayushi, che significa “rosso in faccia”, sintomo di quando si prova imbarazzo.
Cosa è kawaii, in pratica? Molte cose. La parola abbraccia oggetti, emozioni, sentimenti… insomma, un ventaglio davvero eterogeneo di situazioni che ritraggono timidezza, fascino e caratteristiche infantili. Ti vesti con colori pastello e svolazzanti minigonne? Sei indubbiamente kawaii! La tua voce ha un’intonazione bambinesca? E’ kawaii! Ti circondi di peluche, tazze e oggetti a tema manga e anime? Decisamente kawaii!
E’ chiaro che anche il kawaii è uno strumento potentissimo di soft power. L’innocenza esibita in queste immagini infantili e adorabili (pensiamo ancora a Hello Kitty) vuole inviare un messaggio ben preciso. Il Giappone dipinge se stesso come vulnerabile, inoffensivo e bisognoso di cure, in chiara opposizione all’immagine del Paese colonizzatore e aggressivo che la Storia ci rimanda. E questa immagine piace.
L’indebolimento del Sol Levante e il sorgere della Korean Wave
Se tra gli Anni ’90 e il Duemila il Giappone ha vantato il primato nelle esportazioni di prodotti culturali e artistici, ben presto ha però dovuto fare i conti con l’ascesa della cosiddetta Korean Wave, ossia il boom che la cultura pop coreana ha conosciuto in Asia e nel resto del mondo, grazie alla straordinaria diffusione del kpop e dei kdrama.
Il termine hallyu (“onda coreana”) iniziò a circolare quando si avvertì l’esigenza di definire il nuovo fenomeno che stava impazzando in Cina. I giovani cinesi, infatti, erano letteralmente conquistati dalla musica e dagli spettacoli della vicina Corea. Questo impattava anche sul turismo, sullo studio della lingua e sulla popolarità di tutto ciò che era ‘Made in Korea’.
I motivi del declino del Cool Japan
Ma quali sono i motivi che hanno portato al declino dell’egemonia culturale del Giappone? Una combinazione di fattori economici, storici e sociali.
Vent’anni fa, la Corea era ancora un Paese in via di sviluppo, che usciva da un passato tormentato, piagato da guerre, invasioni e povertà. Il Giappone per contro, e nonostante gli sforzi di veicolare un’immagine di sé diversa e mitigata, non poteva nascondere il proprio passato imperialista e aggressore.
Le limitrofe nazioni dell’Asia si riconoscevano più nel vissuto coreano che in quello giapponese, condividendo con la Corea gli stessi sentimenti di riscatto e rinascita.
Inoltre, sul Giappone pesava lo stigma del suo legame con gli Stati Uniti. Nel 2000 il professore e diplomatico giapponese Makoto Iokibe affermò che il Paese sarebbe dovuto entrare nel nuovo millennio ‘americanizzandosi’. I valori di origine confuciana secondo cui i bambini erano sempre stati educati (ovvero, il rispetto della collettività in primis e il conformarsi alle aspettative della società) dovevano essere abbandonati. Era necessario adottare il modello americano fondato sul primato dell’individuo.
E’ chiaro che questo tipo di visione non attecchì nei vicini Paese asiatici, che si si identificavano maggiormente con i valori confuciani espressi nei drama coreani, sicuramente pieni di cliché ma anche ricchi di buoni sentimenti.
Non dimentichiamo infine l’aspetto economico. Quando la Korean wave iniziò a diffondersi, i suoi prodotti avevano un costo nettamente inferiore rispetto a quelli giapponesi, che potevano arrivare a costare anche quattro volte tanto!
Winter Sonata, le origini dell’onda coreana
Winter Sonata è un kdrama drammatico del 2002. Racconta la struggente storia d’amore tra Joon-sang, un giovane introverso cresciuto senza sapere chi sia suo padre, e Yoo-jin, una studentessa solare e piena di vita.
Questo drama è stato l’origine dell’ondata coreana per l’immenso successo ottenuto, in particolare in Giappone. Basti pensare che Bae Yong-joon, l’attore che interpretò il protagonista, divenne un vero e proprio idolo per le donne giapponesi e quando visitò per la prima volta il Paese nel 2004 dovette essere scortato da 350 poliziotti (!) per difenderlo dall’assalto delle fan nipponiche!
Winter Sonata valicò i confini asiatici, ed ebbe ampia risonanza anche oltreoceano. Piacque ovunque, e in effetti è un drama che ha molti elementi allettanti: una storia d’amore tormentata, una colonna sonora accattivante, ambientazioni suggestive e dei protagonisti bellissimi e indubbiamente in parte. I cliché che si ritrovano in questa serie sono gli stessi che ritorneranno in moltissimi kdrama negli anni a venire: amnesie, triangoli amorosi, amori predestinati ma contrastati. Winter Sonata ha decisamente fatto scuola.
Corea e Giappone: la situazione oggi
Dopo un periodo caratterizzato da una politica “No Japan”, la Corea si sta aprendo gradualmente al vicino Giappone. Le giovani generazioni, grazie soprattutto ai social, sembrano apprezzare sia il j-pop sia i prodotti televisivi del Sol Levante. Questo rappresenta indubbiamente un segnale di disgelo tra le due nazioni che, tramite gli scambi culturali, possono rafforzare i loro legami politici e sociali.
Nel mondo tuttavia continua a imperversare l’onda coreana. Lo dimostra, tra le altre cose, il recente investimento di 2,5 miliardi di dollari che Netflix ha deciso di fare sui prodotti coreani nei prossimi 4 anni. L’investimento è doppio rispetto a quello finora stanziato, il che la dice lunga sulle aspettative che il colosso dello streaming ha nei confronti della Corea.
BTS: i Re del soft power
Non si può chiudere questo articolo senza una menzione ai BTS, i magnifici 7 del kpop che quest’anno hanno festeggiato i 10 anni di attività.
La loro musica ha trasformato il pop mondiale. Non sono stati semplicemente la prima boy band coreana a dominare le classifiche americane e inglesi. Hanno parlato alle Nazioni Unite, sono stati ospitati alla Casa Bianca per esprimersi contro il razzismo. Secondo quanto affermato da una scienziata della Temple University, i BTS hanno più potere di influenzare la cultura di qualsiasi politico o celebrità.
Ci sarebbero moltissime cose da aggiungere, ma mi limiterò a concludere dicendo che la cultura in tutte le sue forme (musica, film, fumetti…) riveste un’importanza fondamentale nei rapporti tra Paesi e nella diplomazia internazionale. Il modo in cui uno Stato racconta se stesso e l’immagine che decide di veicolare attraverso i prodotti artistici che esporta non è mai casuale, ma corrisponde a un preciso intento politico.
Essere consapevoli di questo fatto ci permette di fruire dei prodotti stranieri con maggiore consapevolezza, sapendo che i drama che amiamo, le canzoni che ascoltiamo e gli idoli per i quali abbiamo delle crush sono il frutto di un prodotto attentamente costruito a tavolino.
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