Immaginate di camminare per le strade della vostra città, magari in un quartiere periferico o degradato, una zona che un tempo era grigia e trascurata. Le pareti dei vecchi edifici, un tempo anonime, oggi raccontano storie. Figure imponenti catturano il vostro sguardo, trasformando muri spogli in spazi creativi.
Questa è la street art: un’esplosione di immagini, colori e messaggi sociali che trasforma gli spazi urbani, portando bellezza e significato laddove prima c’era solo cemento.
La street art è un ambito prettamente maschile. Eppure qui parleremo di una donna che si è imposta nel panorama internazionale con i suoi murales che promuovono temi di giustizia sociale ed empowerment femminile: Faith47. In un’intervista le è stato chiesto: «Come hai fatto a partecipare a una cultura che è stata stereotipicamente vista come un’arte “solo per uomini”? Cosa ti ha mantenuto così determinata?» E lei ha risposto: «Il mio cuore che sanguina».
Faith47, street artist donna e ribelle
In questo campo, a lungo dominato dagli uomini, Faith47 è la voce femminile che si impone. Nata a Città del Capo nel 1979, la sua cifra stilistica combina graffiti e street art, utilizzando un’ampia gamma di tecniche che vanno dall’olio e alla vernice spray, dalla grafite al collage. Le sue opere trattano temi importanti: disuguaglianza, ingiustizia ma anche speranza nel futuro.
Sulla parete di un alto edificio campeggia il profilo di una donna dai tratti delicati e gli occhi chiusi. Indossa un abito rosso riccamente decorato, colore che riverbera sui suoi capelli. Una serie di catene avvolge il suo collo, ma senza stringere. Non è intrappolata: le sue mani, gentili ma risolute, sono impegnate in un gesto che sembra voler liberare quelle catene, come se stesse sciogliendo se stessa da legami invisibili.
Sopra di lei, un grande uccello mitologico prende forma, le sue ali si espandono maestosamente verso il cielo. È una fenice, simbolo di rinascita e libertà. Le sue piume sono dettagliate, tracciate una ad una, e si fondono con le catene che circondano la donna, unendola a questa creatura eterea. Il messaggio è chiaro: c’è una connessione profonda tra la donna e l’uccello, tra la libertà e la lotta per ottenerla.
Questa immagine non grida; piuttosto, sussurra una storia di resistenza e trasformazione, raccontandoci delle catene invisibili che ci legano e del potere che noi donne abbiamo di scioglierle. È come se ci dicesse che anche nel cemento più freddo delle città, possiamo trovare la forza di risorgere, di liberarci e di spiccare il volo.
Immaginate ora di camminare per una strada squallida e deserta, e di voltare l’angolo. All’improvviso, una figura monumentale vi colpisce come un pugno nello stomaco. Su un enorme muro, una donna è inginocchiata per non dire prostrata, il corpo seminudo, la testa china e imprigionata tra le braccia tese in avanti, in un gesto di offerta. La sua posa trasmette una disperazione silenziosa, quasi un accasciamento dell’anima.
Le sue mani, strette intorno a un filo sottile (una collana, un rosario), sono tese in supplica. È una scena davvero molto dolorosa a guardarsi. Descrive in modo crudo una situazione comune a tante donne che vivono una prigionia fisica ed emotiva. La figura femminile ritratta sembra quasi fondersi con il cemento del muro, la sua pelle è grigia come se fosse parte di esso, bloccata nella sua posizione, eppure allo stesso tempo pronta a esplodere in un grido soffocato.
Nelle pieghe di quel corpo, nei suoi contorni, in quel gesto disperato (ma non senza speranza), c’è una forza: il desiderio di libertà di chi ancora trova la volontà di alzare le mani. Faith47 ci invita con questo murales a riflettere su ciò che significa essere umani, sulla lotta interiore che tutti affrontiamo, e sul potere di resistere anche nelle situazioni più difficili.
Faith47: la donna oltre l’artista
Nata Liberty Du, l’artista è diventata madre a soli 18 anni, una scelta che ha segnato profondamente la sua vita. In un’intervista ha spiegato che avere un figlio dà stabilità e ancora a un luogo, mentre lei non si è mai sentita una persona particolarmente radicata, per cui ha vissuto la maternità come un grande cambiamento. Dice: «Ho dovuto maturare in fretta, ma allo stesso tempo penso che resterò giovane mentre cresciamo insieme».
Dice che senza suo figlio non avrebbe lavorato così tanto, dipingendo aree urbane e connettendosi strettamente con l’ambiente circostante. Parlando della sua esperienza nel fare murales e graffiti, sottolinea quanto sia sfidante.
Inspirare/Espirare: l’arte di creare
Creare murales è un processo in cui occorre mantenere la concentrazione, anche quando tutto intorno a te sembra congiurare per distrarti: auto che sfrecciano, persone che passano e ti parlano raccontandoti le loro storie, il rischio di essere derubata, bambini che vogliono le bombolette spray, e persino gli amici che si fermano a bere una birra con te. Dipingere può significare correre contro il tempo sotto un sole cocente, resistere al vento ululante o al freddo gelido.
Tutte queste cose si aggiungono al muro, contribuendo alla storia dietro ogni immagine, anche se la gente spesso non se ne rende conto. D’altra parte, lavorare sulla tela a casa o in studio è un’esperienza completamente diversa: è un momento personale, in cui puoi chiuderti nel tuo mondo, ascoltare la tua musica e lasciare fuori tutto il resto. Dipingere per strada è come inspirare, un’azione vitale e intensa; dipingere su tela è come espirare, un gesto di meditazione e riflessione.
Faith47 è consapevole di quanto il suo lavoro sulle aree della città sia demonizzato. Considerata una forma d’arte di serie B, la graffiti art raramente viene vista come una forma d’arte alla stregua di quella esposta nei musei. Tuttavia – dice – le città hanno bisogno dei murales più che di pubblicità e di cartelloni. I muri hanno bisogno di messaggi importanti che esprimano sensazioni e sentimenti collettivi, e non di inserzionisti che ci dicano cosa dobbiamo pensare e consumare.
Faith47: dal Sudafrica al mondo. I temi sociali al centro della sua arte
I temi che Faith47 affronta nei suoi lavori sono sia universali sia fortemente legati alla sua terra, il Sudafrica. Sono universali perché l’artista non crede nei confini: confini che, come dice lei, «sono fatti dall’uomo, disegnati con una matita su una mappa».
In modo molto poetico, l’artista afferma che «proveniamo tutti dallo stesso posto, e apparteniamo tutti ovunque e in nessun luogo allo stesso tempo». Queste parole riflettono una visione del mondo senza barriere, dove l’arte può viaggiare e connettere le persone al di là delle frontiere geografiche e culturali.
Contemporaneamente, il lavoro di Faith47 rimane profondamente ancorato alla sua terra, il Sudafrica. Nonostante il nome d’arte che Liberty ha scelto suggerisca fiducia, nelle interviste che ha rilasciato dice di non essere particolarmente ottimista riguardo alle condizioni attuali del suo Paese. Ritiene che il governo sia inefficace, dilaniato da piaghe quali la xenofobia, il sessismo, la corruzione. Le corporazioni e le banche stanno impoverendo la popolazione, mentre le città più grandi si preoccupano più dei turisti che dei propri cittadini. Violenza, disparità di genere, questioni razziali, povertà, stupri e malattie… il Sudafrica è un Paese splendido ma afflitto da innumerevoli problemi.
Nonostante questo, Faith47 continua a credere nella causa degli innocenti (come li chiama lei), trovando speranza nelle persone comuni, quelle che si guardano negli occhi con sincerità. Anche se il futuro è incerto, il suo amore per il Sudafrica è profondo e incondizionato.
La sua arte, i graffiti che continua a realizzare per le strade delle città, sono il suo modo di investire nella comunità, cercando di rafforzare il tessuto sociale e promuovere i valori in cui crede. I suoi murales non sono solo un mezzo per esprimere la lotta contro le ingiustizie, ma creano anche un senso di appartenenza e riconoscimento in chi li osserva, invitando le persone a sentirsi parte di una comunità che condivide le stesse lotte e speranze.
Graffiti art, Street art e il caso di Belfast
La street art è una forma d’arte nata negli anni ’70-’80 per le strade, un’espressione visiva che utilizza i muri delle città come tele, trasformando gli spazi urbani in gallerie a cielo aperto. Si ramifica dalla graffiti art (nata il decennio precedente), che si concentrava principalmente sui “tag” – firme stilizzate che i writer usano per segnare il loro passaggio. La street art abbraccia una vasta gamma di tecniche e temi, spesso legati a questioni sociali complesse come il consumismo, l’inquinamento globale, la violenza e l’ingiustizia.
Un esempio potente di come la street art possa denunciare questioni sociali lo troviamo a Belfast, una città in cui ho vissuto per un certo periodo e che conosco bene. Belfast è famosa per i suoi murales di denuncia, che coprono intere zone della città e raccontano la storia del sanguinoso conflitto nordirlandese, noto come The Troubles. Questi murales, che affrontano temi di identità nazionale, oppressione e resistenza, sono un esempio perfetto di come l’arte di strada possa trasformare un luogo e dare voce a una intera comunità.
Molti street artist iniziano come graffiti artist, evolvendosi nel tempo. Oggi, ciò che una volta era visto come vandalismo è diventato un mezzo riconosciuto per la riqualificazione urbana. Gli artisti di strada sono ora chiamati dalle istituzioni per trasformare aree degradate delle città in spazi di bellezza e riflessione, segnando così l’istituzionalizzazione dell’arte di strada.
Basquiat, Haring, Fairey e Banksy
Uno degli esempi più noti dell’evoluzione da graffiti a street artist è quella di Jean-Michel Basquiat, artista morto nel 1988 a soli 28 anni.
Basquiat ha iniziato la sua attività con il tag “SAMO” (acronimo di “Same Old Shit“), firmando messaggi enigmatici sui muri di New York. Basquiat è diventato un esponente del neo-espressionismo, con i suoi disegni infantili e i colori vividi e forti, quasi violenti.
La sua opera Defacement, La Morte di Michael Stewart è un esempio potente dell’attualità del suo lavoro. Rappresenta la tragica uccisione di un writer di colore, picchiato con i manganelli da due guardie bianche. Questo dipinto è diventato oggi il simbolo del movimento Black Lives Matter, evidenziando l’ingiustizia e la brutalità della violenza razziale.
Keith Haring, artista morto nel 1990 a soli 32 anni, è un altro pioniere della street art, ed è stato il primo a portarla nei musei.
Le sue opere sono caratterizzate da linee semplici, colori pieni e vivaci, figure umane stilizzate, spesso connesse da cuori, per trasmettere messaggi di amore universale e gioia. Tuttavia, Haring ha anche affrontato temi dolorosi come l’epidemia di AIDS, la discriminazione e l’ingiustizia sociale, usando la sua arte per protestare contro le disuguaglianze.
Tra gli artisti attualmente in attività, non posso non citare l’americano Shepard Fairey, noto per il suo stile ispirato alla propaganda politica, caratterizzato da immagini forti, colori contrastanti e un uso efficace della tipografia.
Tra le sue opere più iconiche il poster Hope realizzato per la campagna presidenziale di Barack Obama, diventato simbolo di resistenza e speranza. Fairey affronta temi come il potere, la libertà e la giustizia sociale, utilizzando la sua arte per sfidare l’autorità e stimolare il cambiamento sociale.
Banksy, la Guerrilla art e la denuncia sociale
E poi c’è Banksy, l’artista anonimo più famoso al mondo, tornato in questi giorni con alcune nuove creazioni che raffigurano un safari urbano: stambecchi, elefanti e scimpanzé che animano le strade di Londra.
Nato a Bristol, Banksy è un esponente della Guerrilla art, caratterizzata da azioni improvvise e non annunciate. I suoi murales trattano una vasta gamma di temi, dalla questione palestinese al cambiamento climatico, dalla violenza contro le donne alla disuguaglianza sociale.
Uno dei motivi per cui la sua arte è diventata così popolare è perché riesce a rendere accessibili argomenti complessi, utilizzando un linguaggio semplice e diretto che tutti possono comprendere. Come molti street artist, Banksy non esita a prendere posizione: ha creato opere contro la guerra in Ucraina e ha denunciato l’uccisione dell’uomo di colore George Floyd da parte di un poliziotto bianco, esponendo così le ingiustizie razziali attraverso il potere visivo dei suoi murales.
Ascolta il Podcast
Lasciati Ispirare!
Lascia un commento