Premessa dove vi racconto che Song Joong-ki all’inizio non mi piaceva affatto
Song Joong-ki è un attore che ho snobbato per tantissimo tempo, vuoi perché le trame dei suoi lavori non mi allettavano, vuoi perché non ho mai trovato intriganti le sue foto e le sue espressioni.
Un bel giorno mi sono detta che dovevo recuperare almeno uno dei suoi drama, che c’è un limite ai pregiudizi che un recensore può avere. Ho pensato che Vincenzo fosse la scelta migliore, e vi dirò una cosa – la stessa che ho detto tempo fa a un’amica ragionando su kdrama, amore e altre sciocchezze.
E’ nella natura dell’amore esordire con frasi assolute e perentorie quali «Io?! Con quello? Mai nella vita!» e poi innamorarsene perdutamente. Ecco, è ciò che mi è successo con Song Joong-ki, nella forma romantica e idealizzata dell’amore ‘doramico’ che tutti noi ben conosciamo.
Questo amore è durato l’arco di 3 drama: ha avuto una sua evoluzione breve, esplosiva e bruciante. E si è consumato rapidamente. Song Joong-ki non sarà mai la k-star della mia vita, ma di certo merita un posto d’onore tra le crush più intense. Vediamo di analizzare le peculiarità di questo bravissimo e affascinante attore, attraverso i tre drama che mi hanno accompagnato in questo percorso di scoperta.
Vincenzo, kdrama cult: nascita di un amore
Dopo una serie di visioni deludenti (Eve, Matrimonio e desideri) mi sono imbattuta in questo mafioso coreano che parla un italiano improbabile – tranne quando urla «Corea dimmerda!» con italianissima verve – fasciato in completi che ne esaltano l’eleganza quasi femminile.
La trama di Vincenzo (2021) è semplicissima e molto lineare.
Il protagonista, Park Joo-hyung, abbandonato dalla madre quando era solo un bambino, viene adottato da una famiglia italiana. Ribattezzato col nome di Vincenzo Cassano, diventa avvocato e consigliere della mafia. Torna a Seoul per recuperare una montagna d’oro nascosta sotto un palazzo, ma dovrà scontrarsi con un manipolo di crudeli chaebol, politici e funzionari corrotti.
Non è certo per la trama se Vincenzo è diventato un cult in così poco tempo. Tanti sono i fattori che ne determinano il successo e la popolarità, rendendolo – a mio avviso – uno dei kdrama più appassionanti e meglio realizzati degli ultimi anni.
Vincenzo è un cult perché è un mix perfetto di generi diversi
Ho spesso mosso una critica agli sceneggiatori coreani: quella di non essere particolarmente bravi nel mischiare i generi. Solitamente, infatti, quando tentano di mettere insieme generi differenti la serie perde la sua identità e comincia a ‘sbandare’, non sapendo più che direzione prendere.
Ecco, questo non succede in Vincenzo. Vincenzo è un mix perfetto di stili diversi: thriller, legal thriller, commedia, slapstick, un pizzico di romance, comico, drammatico e una spruzzata di noir. Non si fa mancare proprio nulla, e con quanta maestria si passa da un registro all’altro! Personalmente mi sono ritrovata a ridere, piangere, shippare i protagonisti, incitare alla vendetta, sentir battere il cuore per la bromance… tutto in una sola puntata.
Vincenzo è un cult perché il cast è perfetto
Quando la Cassano family irrompe sulla scena tutta vestita di nero, i brividi di piacere sono garantiti. Ma Vincenzo non è solo la Cassano family che lotta contro i soprusi dei potenti corrotti.
Gli stessi potenti corrotti sono personaggi indimenticabili nella loro bassezza. Caratterizzati magnificamente, hanno un appeal da veri cattivi. Non voglio dire che si parteggia per loro o si capiscono le loro motivazioni, ma ‘piacciono’, perché sono ben descritti, ben recitati, credibili.
In una delle scene più splatter di tutto il drama, nell’episodio 13, sono rimasta incantata dallo sguardo del villain, Jang Han-seok, interamente ricoperto di sangue di maiale.
Il climax della vendetta è costruito perfettamente. Nonostante la serie sia stata prolungata in corso d’opera (visto il successo che stava ottenendo in patria), la sceneggiatura è stata scritta talmente bene che le puntate aggiuntive non sono meri ‘riempitivi’, ma portano la suspense a un gradino superiore.
La partita a scacchi tra Vincenzo e Jang Han-seok diventa sempre più efferata, richiede sempre più stratagemmi. Ma alla fine la soddisfazione del vincitore sarà ancora più grande.
Vincenzo è un cult perché è fatto bene
Vincenzo è indubbiamente un prodotto di qualità: dalla sceneggiatura alla regia, dalla recitazione alla fotografia, dall’indagine psicologica dei personaggi ai costumi. Siamo di fronte a una serie realizzata con cura e ricercatezza.
Una menzione d’onore la meritano le OST, specie il mix vincente di musica pop e classica. La scelta è raffinata e colta, e impreziosisce il drama. L’Intermezzo della Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, il Lacrimosa dal Requiem di Mozart, il Nessun Dorma dalla Turandot di Puccini. Sono brani che toccano il cuore e segnano momenti particolarmente emozionanti.
Vincenzo è un cult perché… c’è Vincenzo
Sembrerà banale ma non lo è. Vincenzo non avrebbe avuto lo stesso successo con un attore diverso.
Song Joong-ki è perfetto nei panni del mafioso italiano (e questo nonostante il suo italiano sia di fatto poco credibile). Ciò che ‘funziona’ è il contrasto tra l’eleganza di Vincenzo, il viso pulito ed effeminato, e la sua intima crudeltà – così ben espressa nella scena finale del drama, in cui lui, rompendo la quarta parete, ci lascia il suo testamento: «Il male è grande e vasto». Brividi, ancora una volta.
L’attore è stato in grado di conferire al personaggio un’eccezionale profondità, volti, sfumature e una complessità che lo rendono difficilmente definibile. Vincenzo è un cattivo? E’ ‘scusabile’ almeno in parte? Ha un’etica o è ‘solo’ un assassino? Non è facile rispondere a queste domande. Di certo, Vincenzo è un personaggio memorabile e a tutto tondo, con luci e ombre, e un fascino innato che non può lasciare indifferente.
Voto: 9.5/10
Numero puntate: 20
Durata: 70 min. circa
Dove vederlo: Netflix
The Innocent Man, un makjang strappacuore
Preso atto della mia passione, non potevo fare altro che bingiare altri drama con Song Joong-ki, e mi sono tuffata in The Innocent Man (2012), prima serie in cui l’attore ha recitato da protagonista.
Si tratta di un melodramma in cui il main lead, Ma-ru, si addossa la colpa dell’omicidio compiuto dalla donna che ama. Scontata la pena di 6 anni di carcere, ne esce completamente diverso: deve abbandonare il sogno di diventare medico, ed è costretto a mantenere se stesso e la sorella facendo il gigolò.
Ciò che viene a scoprire è che la donna che amava, e per la quale si era sacrificato, non solo a suo tempo l’aveva incastrato, ma nel frattempo si è sposata con un ricchissimo e anziano chaebol, dal quale ha avuto un figlio.
Un giorno, Ma-ru salva la vita alla figlia maggiore di quel vecchio chaebol (ora figliastra della sua ex), e decide di utilizzarla per vendicarsi della donna che l’ha tradito. Lei naturalmente s’innamora di lui, e da questo fatto nasceranno complicazioni inenarrabili che ci porteremo dietro fino agli ultimi 5 minuti dell’ultima puntata.
Un kdrama pieno di cliché
The Innocent Man si lascia guardare, ma con un sacco di ‘però’.
A dispetto di altri kdrama datati che però non dimostrano gli anni che hanno (ad esempio, Coffe Prince o Secret Garden), questo sì: è vecchio e si vede. Si vede innanzi tutto nell’uso sconsiderato di stereotipi. Coincidenze improbabili, manipolazioni, relazioni disfunzionali, infanzie devastate, genitori assenti, incidenti, omicidi, corruzione, intrighi famigliari e aziendali, ma soprattutto – amnesie. Amnesie come se piovesse.
Davvero tutto troppo. Per questo rientra a pieno titolo nella categoria dei makjang, ovvero i drama caratterizzati da una trama irrealistica, costellata da eventi improbabili quali appunto incidenti, amnesie, morti inaspettate, omicidi e complotti. Usati con sapienza questi elementi creano dipendenza e pathos. In questo caso, a mio avviso se ne è abusato.
Un kdrama confuso nella trama
Oltre a una certa ripetitività e lentezza, The Innocent Man pecca di confusione. Ma-ru vuole vendicarsi della donna che ha tradito la sua fiducia, approfittandosi del suo amore e della sua innocenza. Questo almeno è quello che ci vogliono far credere. Ma è davvero così? Io ammetto di non averlo capito per buona parte delle puntate.
Ma-ru, infatti, corre sempre dalla sua ex ogni volta che lei lo chiama. La difende ogni volta che lei ne combina una. Ne fa la sua priorità, secondo una logica messianica che io ho trovato contraddittoria con la vendetta, ma tant’è. Questo passa il convento.
Song Joong-ki: una performance eccezionale
L’unica cosa eccezionale di questo drama è la performance di Song Joong-ki. Non è ancora maturo come in Vincenzo, ma già perfettamente capace di esprimere con abilità un vastissimo ambito di emozioni: dolore, disperazione, incredulità. I suoi occhi trasmettono efficacemente rassegnazione e vulnerabilità, così come sono in grado di comunicare durezza e determinazione.
E’ straordinario osservare il modo in cui l’attore passa (piuttosto rapidamente anche) dall’esprimere uno stato d’animo sorridente e amichevole ad uno insensibile e distante. Questo lo rende a mio avviso capace di dare spessore anche a personaggi non proprio indimenticabili, come nel caso di Ma-ru. E’ solo per lui se il drama raggiunge la sufficienza.
Voto: 6/10
Numero puntate: 20
Durata: 1h circa
Dove vederlo: Viki
Descendants of the Sun, un bel kdrama che segna la fine di un amore (il mio)
Non potevo non guardare Descendants of the Sun (2016), drama acclamatissimo all’epoca, che segnò peraltro la nascita della sfortunata coppia Song-Song – poi scoppiata pochi anni dopo.
Fatemi fangirlare un minuto. In questa serie, Song Joong-ki è «bello bello bello in modo assurdo» e con una faccia da schiaffi che mi ha messo ko. Passavo le ore tra una puntata e l’altra pensando a come fare per entrare nei corpi delle Forze Speciali coreane, per dire il livello di disturbo mentale raggiunto.
Comunque. La trama è abbastanza semplice da sintetizzare: un soldato delle Forze Speciali e una dottoressa s’incontrano e si innamorano. Il loro sentimento conosce un unico grande ostacolo: il lavoro di lui, che lo porta non solo ad avere segreti e scomparire improvvisamente per andare in missione, ma a mettere costantemente a repentaglio la propria vita.
Descendants of the Sun: punti di forza
Che Descendants of the Sun sia appassionante non si discute. E’ in assoluto uno dei kdrama più avvincenti che io abbia visto ultimamente: mai un attimo di noia, mai un calo di attenzione. Colpi di scena, cambi di location, momenti drammatici alternati ad altri più leggeri e divertenti – questa serie non si fa mancare nulla.
Bella la colonna sonora. Belli i paesaggi. Belli i personaggi secondari che arricchiscono la trama. In particolare, ho amato la seconda coppia.
Anche se non ho ben chiare le vere motivazioni per cui non potevano stare insieme (penso c’entrasse il padre di lei, il carattere un po’ tonto di lui, ma da cosa nascesse tutta quella angst rimane un mistero), emerge molto bene la forza dell’attrazione che lega i due giovani ufficiali.
Descendants of the Sun ha un taglio più cinematografico che televisivo. Le bellissime inquadrature dell’Isola di Zante (scelta come location per le riprese in Grecia) sono davvero suggestive, e non stupisce che l’amore sia sbocciato – per davvero, e non solo per fiction – in quella terra tanto fascinosa.
Diciamo che tutto è creato per emozionare, in questo drama. La bellezza degli scenari, l’amore contrastato, le vite in continuo pericolo, il senso di fratellanza e comunità, gli ideali presentati – quali l’onore e il patriottismo. Ci si aspetterebbe un finale grandioso, degno di tutti i turbamenti e le sensazioni forti che abbiamo provato nel corso delle puntate.
Purtroppo, almeno per me non è stato così.
Descendants of the Sun: punti deboli
Descendants of the Sun ha tanti punti deboli che, arrivata all’ultima puntata, mi hanno fatto provare una fitta di delusione. Lo ribadisco a scanso di equivoci: Descentants of the Sun è un bel drama, è fatto bene e mi è piaciuto. Ma ci sono cose che – ahimè – non sono andate come avrebbero dovuto. Vediamo quali.
La protagonista, Song Hye-kyo
Song Hye-kyo è una delle mie attrici coreane preferite. Adorata in Encounter, di lei apprezzo – oltre che la straordinaria bellezza – la recitazione misurata ed elegante. Non mi ha però convinto il suo ruolo in questo drama.
Troppo algida, matura, compassata e poco credibile nelle scene ‘fuffolose’, sembra a disagio quando deve esprimere un’innamoramento spontaneo e tenero. Ed è paradossale se si considera che all’epoca stava recitando con quello che sarebbe diventato suo marito.
Il problema è duplice, dal mio punto di vista: Song Hye-kyo non è adatta al personaggio (per il motivo che ho espresso sopra), e il personaggio non è scritto bene. Conosce, sì, una certa evoluzione (da persona materialista e superficiale diventa un medico più coscienzioso e generoso), ma resta un’indagine superficiale, per così dire all’acqua di rose.
Per quanto riguarda il secondo punto, faccio questo esempio. Nelle prime puntate, mi è sembrato molto giusto e coerente il suo domandarsi quale futuro potesse avere una relazione con un uomo delle Forze Speciali. Ogni suo interrogativo è motivato e serio. Tuttavia, con il progredire della storia quelle domande non evolvono, i dubbi restano gli stessi, e la loro relazione diventa un tira e molla stancante e pretestuoso. Più volte mi sono chiesta che cosa leghi quei due. A parte salvare il mondo e salvarsi la vita a vicenda, di fatto non hanno argomenti di conversazione, interessi in comune o progetti condivisi. Questo mi porta al punto successivo.
La storia d’amore principale
E’ una storia d’amore che mi ha dato poco in termini di emozioni.
Oltre ai succitati motivi, vogliamo parlare dell’irritante ritrosia di lei al contatto fisico? Sappiamo già della pudicizia dei coreani, di come trattano la skinship nei kdrama e del modo in cui le protagoniste spesso e volentieri giochino questo ruolo da eterne innocenti. Ci sta, fa parte della cultura. Ciò non toglie che – quando si è marcatamente fuori tempo massimo per fare le adolescenti al primo bacio – la cosa sfiori il ridicolo.
Ho fatto un po’ di conti, e sono arrivata alla conclusione che – tra eventi più o meno drammatici che non spoilero – i protagonisti sono stati fidanzati qualcosa come due anni. Insomma, dopo tutto questo tempo lui le propone di dividere una stanza insieme. Cosa che, voglio dire, nella vita reale dopo due anni di attesa si sarebbe già tutti in odor di santità. E lei? Cosa risponde lei, con fare peraltro piccato? «Stai attento a non superare i limiti». Ah, okay.
Per quanto mi riguarda, una storia d’amore poco appassionante.
L’assenza di un vero villain
Nel sintetizzare Descentans of the Sun si possono scegliere due vie. Si può scegliere la via più semplice come ho fatto io, riducendo la trama all’osso ed epurandola di tutti gli elementi di contorno. In un’intervista, lo stesso Song Joong-ki ha definito questa serie un «drama sentimentale tra un soldato e un medico», quindi non mi sento di avergli fatto un torto eliminando tutti gli aspetti secondari del plot.
Se si sceglie invece la via più complicata, descrivere la trama dettagliatamente diventa difficile perché in realtà Descentants of the Sun non ha un plot lineare, ossia una trama orizzontale che prosegue omogenea per 16 puntate. Succedono molte cose: terremoti, epidemie, missioni in terre lontane come la fittizia Urk, missioni contro la Corea del Nord, traffico di armi e diamanti – e chi più ne ha più ne metta. Tutto questo è trascinante, ma frammentario.
La storyline che prende più tempo è quella di Argus, chiamato il ‘soldato Ryan’, un vecchio commilitone a cui il protagonista in passato aveva salvato la vita. Ora, Argus è diventato un contrabbandiere spietato e senza scrupoli, contro cui il protagonista si troverà spesso a scontrarsi.
Personalmente, la vicenda di Argus mi è piaciuta e la seguivo volentieri. Quello che non ho apprezzato è che gli sceneggiatori l’abbiano fatta terminare a due terzi della serie – lasciandoci senza villain e imponendo un cambio di contesto narrativo che a mio avviso non ha giovato alla trama.
Un finale stanco e sottotono
*** Attenzione: contiene spoiler ***
E così, tra un piccolo difetto e un errore di scrittura, un inciampo di recitazione e un buco di trama, si arriva all’agognato finale. Il classico «un anno dopo…» che in tanti kdrama abbiamo visto, e che in questo caso segue un poco plausibile caso di morte violenta.
Occhi al cielo. La vicenda del protagonista (eroe apparentemente indistruttibile, che all’improvviso muore ma in realtà no, sta salvando il Paese per l’ennesima volta) l’ho trovata così noiosa e prevedibile che concordo con chi, sull’internet, ha scritto che il drama doveva concludersi a Urk.
Sì, definitivamente. La vicenda avrebbe avuto una maggiore coerenza e solidità se si fosse svolta tutta a Urk, senza tirarla troppo per le lunghe con vicende legate alla Corea del Nord, costringendo lo spettatore a sorbirsi lo spettacolo trash del ricongiungimento casuale *credibilissimo* dei due protagonisti nel deserto.
Genere: melodramma fantascientifico. La prossima volta però specificatelo, almeno so a cosa andrò incontro.
*** Fine spoiler ***
NOTE FINALI: So di essere stata critica con questo drama, ma il mio voto è alto perché – l’ho detto e ripetuto – mi è piaciuto a dispetto dei limiti oggettivi che presenta. Non è la serie coreana più bella mai vista, ma è per certo una delle più coinvolgenti. La consiglio e ritengo che valga la pena di essere vista.
Non è però per me quel capolavoro che si dice in giro. Soprattutto (e mi duole ammetterlo), per quanto riguarda il protagonista, interpretato da Song Joong-ki, un personaggio che non evolve mai nel corso delle 16 puntate.
Per quanto sia sempre encomiabile la capacità interpretativa dell’attore, e per quanto il personaggio che interpreta abbia tutto per piacere (è un eroe, è simpatico, è misterioso, è devoto alla sua donna, è talvolta sfacciato), manca di una certa profondità e capacità di maturazione. Quello che fa è restare in attesa delle decisioni di lei, senza cambiare di una virgola. Per molte, sarà un comportamento cavalleresco e attraente. Per me, è passivo e con poco da dire. Questo ha tristemente segnato la fine del mio amore doramico.
Voto: 8/10
Numero puntate: 16 + 3 speciali
Durata: 1h circa
Dove vederlo: Viki
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