Questa mattina avevo voglia di scrivere, ma mi rendevo conto che non c’erano argomenti di cui volevo davvero parlare. Era una sensazione strana: volevo dire molte cose, ma vaghe. Allora ho capito che dopo quasi un mese di permanenza a Seoul era tempo di fare un primo bilancio.
Questo sarà un articolo strano, in cui vi darò forse poche informazioni ma vi parlerò di me e del mio rapporto con questa città.
Seoul: una città impegnativa
Non è facile vivere a Seoul per un lungo periodo – intendo non da turista e senza conoscere la lingua. Le difficoltà che si devono affrontare sono tante e quotidiane.
Appena sono arrivata ho dovuto affrontare una serie di questioni pratiche che mi hanno portato via tantissimo tempo, e mi sono costate frustrazioni notevoli. Cambiare la SIM del telefono se si soggiorna per più di 2 settimane è un incubo. Comprare la T-money card (la tessera dei trasporti pubblici), considerando che nei convenience store nessuno parla inglese, è stato un parto. Comprendere come muoversi in metropolitana mi ha portato via un paio di giorni. Anche solo fare la spesa, trovare i prodotti giusti sugli scaffali, chiedere informazioni, prelevare soldi al bancomat o prendere un taxi (come vi ho già raccontato qui), si sono rivelate operazioni piuttosto complesse. Andare in un ristorante e pensare di ordinare del cibo credendo di poter accedere a un menu in doppia lingua è utopia. Al massimo, ci sono le immagini e si possono indicare quelle.
Lo ammetto, è stancante. Ogni spostamento richiede almeno mezzora. Se poi ci si vuole avventurare in zone più lontane, preparatevi a spendere l’intera giornata tra mezzi e camminate sfiancati. Sempre con la mappa in mano.
Seoul: una città emozionante
Ieri ero in metropolitana e stavo tornando a casa. Ascoltavo musica e mi guardavo intorno. Non potevo fare a meno di provare una felicità incontenibile. Non avevo più bisogno di controllare ogni 5 minuti se la direzione del treno fosse quella giusta, quante fermate mancassero alla mia, e potevo godermi il viaggio come tutti gli altri passeggeri. Mi sono sentita orgogliosa di me stessa, pienamente parte di Seoul – non più un’estranea capitata lì per caso.
Non è un sentimento facile da descrivere, ma nelle settimane scorse da qualche parte è scattato un click tra me e Seoul. Forse è stato mentre camminavo di notte per le sue strade così colorate e luminose. Forse è successo quando ero sul tetto di un palazzo a guardare il fiume Han che scorreva là sotto. Oppure ancora mentre bevevo somaek a un tavolino arancione e mangiavo kimchi piccante fino a lacrimare.
Ho trovato che Seoul fosse tanto affascinante da emozionarmi, e mi sentivo a mio agio nell’essere lì, uno di 10 milioni di abitanti, una piccola parte di un tutto dinamico e brulicante di vita.
Seoul ed io
Mi è stato chiesto tante volte: «Ma Seoul è bella?», e la domanda mi fa sorridere. Perché Seoul non è bella. Londra lo è. Seoul è un’accozzaglia di palazzoni tirati su alla velocità della luce, molti dei quali mi azzarderei a definirli proprio bruttini. Lo skyline è disordinato, non c’è un progetto definito e organico.
Eppure, ha qualcosa che ti fa esclamare: «E’ bellissima!» Sarà il fascino dell’esotico, quelle luci pacchiane che sparano in ogni direzione, la commistione tra antico e moderno, i pupazzi che saltano fuori inopinatamente dagli angoli delle strade, il gusto per il kitsch accostato al ‘cute‘, il “troppo” che ti riempie gli occhi di meraviglia e stupore.
Seoul ed io abbiamo legato. Non provo più paura o disagio, non mi mette soggezione. E’ come un partner familiare e consueto – lo sfiori, e ti senti a casa. Mi piace pensare che adesso, per ora, in questo presente, Seoul è la mia casa.
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